«Dreams are alive tonite» in bianco su sfondo azzurro, le tonalità sono proprio quelle della copertina di The River. È il grande striscione, l’accoglienza che Bruce Springsteen si è trovato di fronte, salendo sul palco, a San Siro domenica scorsa per la prima delle due date milanesi (la seconda è in programma stasera, ndr). Una storia d’amore che assume i contorni di una liturgia «atea,» arrivata ormai all’appuntamento numero sei, così come ricordano diversi striscioni appesi sui parapetti del secondo anello. Una storia d’amore che travalica anche gli argini del music business andando a creare un binomio fisso per l’Italia: Barley Arts – Springsteen, come ci ricorda Claudio Trotta, fondatore dell’agenzia: «La prima volta di Barley con Bruce è stata nel 1999».

Una storia d’amore quella tra il Boss e San Siro riconosciuta in tutto il mondo, tanto che la rincorsa ai biglietti prato per la data milanese non riguarda solo l’Italia. Diverse migliaia di stranieri invadono San Siro così come era già successo nelle precedenti visite del rocker americano. Passeggiando per il «pit» ho incontrato una coppia canadese, venuta apposta per l’evento. «Siamo qui perché sappiamo che per Bruce questo posto è speciale». Quanto San Siro sia speciale è confermato da un post di Nils Lofgren, storico membro della E Street Band, ritwittato da Springsteen, che recita «Grazie Milano SanSiro Springsteen #estreetband When the audience becomes the band», cioè «quando l’ascoltatore diventa band».

Una storia d’amore spesa in trentacinque atti, ovvero canzoni, per una durata di tre ore e quarantacinque minuti. E ben quattordici sono state estratte da The River (1980): mai così tante esecuzioni in questo tour europeo da uno degli album simbolo dalla discografia del rocker del New Yersey, grazie al quale la febbre del Boss ha «contagiato» l’intero pianeta. Un pubblico di fan «duri e puri» capaci di sostare in paziente attesa per diversi giorni, accampati fuori San Siro e Springsteen in qualche modo li «premia». Arrivato attorno alle 17 allo stadio, decide di rompere attesa e indugi, salendo sul palco con chitarra acustica sulle spalle e un foulard al collo, per regalare una meravigliosa versione di Growin’ Up.

Ma il set vero e proprio ha inizio poco dopo le venti, è la E Street Band ad accompagnare sul palco il Boss, e gli spalti si colorano formando una coreografia sulle note di Land of Hope and Dream. Come previsto il concerto è serrato e intenso e le doti di performer del Boss si confermano intatte nonostante il passare degli anni. Gioca con il pubblico, canta, corre, incita la band. Il culto di e per Springsteen ha però un rituale che si ripropone immutabile, e per questo atteso, ad ogni concerto. È il momento di Dancing In The Dark e Bruce porta sul palco spettatori a ballare, e anche domenica sono migliaia i cartelli che sono alzati al cielo.

Poi all’improvviso tutto si ferma, l’armonica introduce The River, gli spalti dello stadio rispondono illuminandosi. Una coreografia , quella messa a punto dai vari fan club di Springsteen, diventa così parte integrante dello spettacolo. Ma nella calda serata milanese sono le ballad ad avere un’intensità davvero speciale: «Quando ti ho persa tesoro a volte penso di avere perso anche il mio coraggio e vorrei che Dio mi mandasse una parola, mi mandasse qualcosa, che potessi avere paura di perdere, distesi nell’afa notturna come prigionieri per tutta la vita ho brividi lungo la schiena. E tutto ciò che voglio è stringerti forte», recita Drive all night. Ed è catarsi quando in chiusura Springsteeen in solitario intona Thunder Road .

Stasera si replica e il 16 a Roma sono già in cinquantamila ad aver acquistato i biglietti per l’appuntamento al Circo Massimo.