Non è esattamente una legge draconiana quella sul conflitto di interessi che torna in aula alla camera la prossima settimana – è trascorso oltre un anno da quando sembrava sul punto di essere finalmente votata ma fu riportata in commissione per volere del Pd e di Forza Italia. Ieri si è chiusa la fase referente, ma al solito molti nodi non sono stati sciolti. Una delle poche decisioni prese è quella di aumentare i consiglieri dell’Autorità antitrust, alla quale resta affidata la vigilanza sui conflitti di interesse, da tre a cinque. Erano cinque già due anni fa, poi erano stati ridotti per effetto di una decisione del governo Monti che mirava a contenere le spese (intanto il personale dell’Autorità è salito fino a quasi trecento persone).
Cambia anche il modo di elezione dei consiglieri, fin qui nominati dai presidenti delle camere. Saranno adesso votati dai parlamentari – due dai senatori e tre dai deputati – sulla base di «rose» selezionate (a maggioranza) dalle commissioni. Previsto un sistema di quorum minimi che in teoria dovrebbe garantire le minoranze, ma che sarà facilmente travolto dalla nuova legge elettorale (Italicum) ultra maggioritaria; in pratica la minoranza potrà eleggere con certezza solo un consigliere dell’Antitrust.

Ai componenti dell’Antitrust medesimi, come pure ai consiglieri delle altre Autorità (Agcom, Anticorruzione, Privacy…), dovrebbero però applicarsi alcuni dei limiti previsti adesso solo per i componenti del governo, i membri del parlamento, gli assessori e i consiglieri regionali. Almeno è questa la promessa del relatore Pd, Sanna. Ma è solo uno dei tanti passaggi delicati della legge – attualmente di 16 articoli – destinati a essere riconsiderati in aula; da martedì prossimo si partirà direttamente dall’esame degli emendamenti essendo stata già fatta la discussione generale, appunto, oltre un anno fa. Tra le questioni da riaprire l’obbligo (attualmente non previsto) per i parenti del titolare di cariche di governo di presentare (all’Antitrust) la dichiarazione sul proprio stato patrimoniale e di conseguenza il possibile conflitto di interessi anche dei parenti, la decadenza (neanche questa prevista) dei ministri che non presentano la dichiarazione obbligatoria.
Il disegno di legge sul conflitto di interessi, che dovrebbe cancellare la legge Frattini approvata dal secondo governo Berlusconi – in forza della quale il Cavaliere si è dovuto assentare un paio di volte dal consiglio dei ministri e ha dovuto rinunciare formalmente a una sola carica, quella di presidente del Milan – troverà un parlamento schierato in maniera assai simile a quanto accade in questi giorni sulle Unioni civili. Osteggiato direttamente da Forza Italia e indirettamente dal centrodestra di governo, perché considerato lesivo delle libertà, il testo è criticato per ragioni opposte dal Movimento 5 Stelle e da Sinistra italiana, che lo giudicano troppo blando ma non lo hanno frontalmente osteggiato per riportarlo alla discussione in aula. I grillini sembrano però ormai schierati per il no – «questa legge è la sorella maggiore della Frattini, la vera legge la faremo noi quando saremo al governo» ha detto ieri il deputato Toninelli – mentre Sel-Sinistra italiana spera ancora di migliorarla, ha spiegato la deputata Costantino, con «norme più efficaci contro il pantouflage e l’introduzione del blind trust».