Una riunione dei parlamentari del Pd questa mattina alle 9.30 cercherà una soluzione al puzzle dell’elezione dei tre giudici costituzionali; sembrava una partita finalmente risolta – un giudice manca all’appello da 17 mesi – e invece si è complicata in dirittura d’arrivo. A causa della retromarcia del Movimento 5 stelle che non è più disponibile a votare per il candidato proposto dal Pd, Augusto Barbera, anzi neanche a discuterlo in assemblea o sottoporlo al verdetto del blog. Senato e camera in seduta comune sono convocati questo pomeriggio, si rischia il 27esimo buco nell’acqua.
Il Movimento 5 Stelle ha chiesto per mesi agli altri partiti di fare i loro nomi per poterli valutare, avendo da tempo selezionato una quaterna (diventata poi una terna per una rinuncia) di suoi possibili candidati alla Consulta. Nei mesi precedenti Pd e Forza Italia hanno portato i loro nomi direttamente in aula, e anche per questo i grillini li hanno bocciati. Hanno detto no a Violante soprattutto perché considerato un politico e forse anche privo dei requisiti, hanno detto no a Vitali candidato forzista perché imputato in più di un processo. Hanno aspettato a scegliere all’interno della loro rosa fino a che il Pd non fosse stato pronto con la sua proposta, cosa che è avvenuta lunedì scorso. Il Pd ha lanciato Barbera. E poco dopo, la sera, i 5 Stelle hanno scelto, non in rete ma in un’assemblea dei parlamentari per niente gremita. Dal loro mazzo è uscito il candidato più gradito al Pd, il costituzionalista Franco Modugno.

Ma quella scelta non è piaciuta a tutti i 5 stelle presenti, e soprattutto assenti alla riunione. Convinti che la forza «contrattuale» del movimento andasse giocata meglio, puntando su un candidato più in sintonia con le posizioni espresse dai grillini sulle riforme e sulla legge elettorale. Felice Besostri, innanzitutto, che è il protagonista dei ricorsi in tribunale contro l’Italicum. O Silvia Niccolai, che a differenza di Modugno ha avanzato argomentate critiche alla riforma costituzionale di Renzi e Boschi.
Barbera è apertamente schierato in favore delle riforme renziane, ma non ha macchie giudiziarie. È stata pubblicata una sua intercettazione, disposta dalla Guardia di Finanza di Bari, in cui si interessava di un concorso universitario a Roma – per l’università fondata dalla Congregazione dei legionari di Cristo – ma non risulta indagato per questo nell’inchiesta «do ut des» sui concorsi a cattedra. La decisione dei 5 stelle di impallinarlo arrivata ieri, anche a seguito della lettura dei giornali, è assai debolmente fondata su un criterio «legalitario». Viceversa, se il no a Barbera sarà confermato, si tratterà più verosimilmente di fuoco amico contro la candidatura Modugno. Che a questo punto, sia pure a malincuore perché il professore è apprezzato per la sua prudenza quanto per la sua competenza, il Pd non potrebbe più votare il candidato di un partito che si rifiuta di sostenere quelli degli altri. E i giochi dovrebbero riaprirsi, con buona pace del presidente Mattarella che da mesi chiede che la Consulta sia messa in grado di funzionare regolarmente (mancando tre giudici, l’assenza di un quarto porta frequentemente la Corte sulla soglia del numero legale). E di Renzi che non vuole continuare a dare dimostrazione di inconcludenza.

Se la somma dei parlamentari Pd e grillini non è sufficiente a raccogliere il quorum dei tre quinti previsto (571 voti), un accordo di tutta la maggioranza e di Forza Italia dovrebbe garantire il successo. Ma il Pd non può tanto facilmente escludere la seconda forza in parlamento, almeno non senza poter accusare il M5S di auto escludersi. A destra poi non c’è alcuna garanzia che il candidato forzista Francesco Paolo Sisto sia davvero sostenuto. È un ex seguace di Fitto rimasto con Berlusconi, scontenta sia i «moderati» che i «conservatori». Tanto che molti parlamentari di quel fronte hanno visto bene la candidatura last minute del presidente dell’Antitrust Giovanni Pitruzzella, giurista sempre stato molto vicino a Renato Schifani.