Natale nei container. Almeno per qualcuno. Con un annuncio che ha colto di sorpresa tutti, ieri sera la protezione civile ha comunicato che oggi verranno consegnati i primi cinque blocchi a Norcia, ognuno dei quali è composto da 39 moduli. L’ex premier Matteo Renzi aveva promesso che sarebbe riuscito nell’impresa entro il 25 dicembre. Ora si tratta di correre contro il tempo per permettere a qualche centinaio di persone di riavvicinarsi a casa. Tutto in fretta, senza neanche preallertare gli interessati.

Tempo di tagli del nastro anche a Camerino, nelle Marche, con la consegna di 76 moduli in grado di ospitare un totale di 96 persone. A cavallo tra la fine di questo e l’inizio del prossimo anno, poi, è prevista la consegna di altre aree container sparse su dieci Comuni tra le Marche e l’Umbria, nel cuore delle zone demolite dalla crisi sismica andata in scena tra agosto e ottobre.

 

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Per le casette di legno, la versione giusta della storia resta quella data dal commissario alla ricostruzione Vasco Errani in prima battuta, quando aveva buttato la palla in avanti. Molto in avanti. «Sei o sette mesi per le casette di legno», disse a settembre. Le stime non sono cambiate, e chi nel maceratese ha vissuto già il terremoto del 1997 resta perplesso. Allora in un mese arrivarono le roulotte, in due mesi i container e poi partì la ricostruzione vera e propria.

Se poi ci si chiede per quale motivo non vengano utilizzate le postazioni costruite vent’anni fa – già provviste di allacci per l’elettricità e in passato utilizzate anche dagli operai che hanno lavorato alla Quadrilatero -, anche questa domanda non ha risposte ufficiali.

Tornare a casa, tuttavia, è impossibile, anche per chi decide di buttare una cifra intorno ai 10mila euro per comprarsi in autonomia un’abitazione provvisoria. Le pubblicità spuntano ovunque sui social network, perché Facebook prima ti chiede di confermare se sei sopravvissuto incolume al disastro e poi prova a venderti qualsiasi cosa, giocando sui confini sfumati della privacy.

Ecco, le casette di legno. Qualche giorno fa dal settore Urbanistica della Regione Marche è partita una lettera indirizzata ai sindaci nella quale si comunicava che non si possono concedere autorizzazione all’edificazione provvisoria. Secondo il dirigente Achille Bucci – ex militante di Rifondazione Comunista – bisogna «attenersi alla normativa statale» e i sindaci non possono firmare ordinanze in materia. Le aree dove costruire non vengono decise dai Comuni ma dalle Province, che hanno anche «i poteri di sospensione o demolizioni di opere difformi dal piano regolatore generale e l’annullamento di concessioni e autorizzazioni comunali». Inoltre, «l’esecuzione di opere edilizie in assenza di titolo abitativo previsto per legge configura il reato di costruzione abitativa». In altre parole, se uno piazza una casetta di legno nella sua proprietà, rischia una denuncia e la demolizione coatta. I sindaci sono disperati: da una parte sono costretti a nicchiare di fronte alle richieste dei cittadini – che chiedono spazi per le casette che hanno acquistato -, dall’altra sono schiacciati dalle norme e dagli uffici tecnici. Se poi si considera che i primi cittadini dei comuni più piccoli non contano niente e che molti – fiutando elezioni politiche alle porte – preferiscono comunque tacere sperando di fare carriera, la frittata è fatta.

Il silenzio regna, gli sfollati aspettano e sperano. L’orizzonte degli eventi è fissato per la prossima Pasqua, allora tutti potranno tornare a casa, o almeno nei pressi. Così giura il governo, così ripetono i funzionari della Regione e gli uomini della protezione civile. Eppure la soluzione non sarebbe poi così complicata: la Regione Abruzzo infatti ha recentemente approvato il suo regolamento per le casette in legno, prevedendo la costruzione «su terreni agricoli di alloggi rurali di 40 metri quadrati su lotti minimi di 1000».

Il numero di sfollati si aggira intorno alle 40mila persone, non ci sono dati ufficiali però: in tantissimi hanno usufruito del contributo per l’autonoma sistemazione (circa 900 euro a famiglia), mentre in 13.853 sono ancora assistiti dalla protezione civile nei 3.000 palazzetti, centri polivalenti e strutture allestite ad hoc e in 7.155 sono ospitati negli alberghi della costa e sul lago Trasimeno. Altri 241 vivono ancora nelle tende.

Proseguono, intanto, le verifiche sull’inagibilità degli edifici: gli ultimi dati parlano di 34.776 controlli (17.400 nelle Marche, 12.774 in Umbria, 3.543 in Abruzzo e 1.059 nel Lazio). Gli edifici agibili sono 15.138, quelli non utilizzabili in via temporanea 10.571, 1.020 sono inutilizzabili solo per rischio esterno mentre 6.811 sono danneggiati seriamente e assolutamente inagibili. In tremila casi, infine, i controlli non hanno avuto luogo perché era impossibile accedervi. I numeri servono a ordinare una situazione scomposta: le Marche sono ormai abitate a macchia di leopardo, e anche chi vive in zone meno colpite dal sisma, coglie ogni occasione per allontanarsi dalla città.

È il caso di Ascoli Piceno, praticamente una città fantasma sotto le feste, con gli abitanti che preferiscono passare serate e weekend a San Benedetto del Tronto, con la sabbia sotto l’asfalto, perché è più sicuro. Dicono. Stessa cosa accade tra Macerata e Civitanova Marche. Anche perché, sia pure in maniera meno intensa che in passato, qui la terra continua a tremare, piano piano, anche se non ci si fa più caso.

Il paesaggio, lungo l’Appennino, è una costellazione di mancanze. Ad Arquata del Tronto non c’è più nessuno, solo qualche allevatore continua a resistere tra mille difficoltà. Ad Amatrice la vita scorre tra le macerie, qui almeno ci si prova ad andare avanti, ma la popolazione si è quasi dimezzata rispetto allo scorso agosto e i disagi sono all’ordine del giorno.

Il maceratese si lecca le ferite e fa a botte con la burocrazia: a Tolentino ci avevano anche provato ad autorizzare la costruzione autonoma di abitazioni provvisorie, ma dalla Regione è arrivato lo stop. La gente di montagna vive da mesi pochi metri dalla spiaggia, nelle stanze degli alberghi che altrimenti sarebbero rimasti vuoti. Alcuni hanno ancora paura a dormire ai piani e preferiscono sistemarsi sui divani delle hall, perché il terremoto passa ma la paura resta. Al netto delle suggestioni del mare d’inverno, per molti l’esperienza sta diventando logorante, e non solo perché l’inverno sull’Appennino è molto diverso rispetto a quello dell’Adriatico. È la sensazione di non avere più una vita, di sapere che la propria casa non esiste più, il dover ascoltare tante promesse di rinascita con la consapevolezza che però il futuro è sempre un passo più in là. Quasi irraggiungibile.