Gli ultimi dati dell’Istat, su quella che gli ottimisti definiscono “non crescita”, allarmano i sindacati del pubblico impiego. Così Cgil, Cisl e Uil di categoria tornano a farsi sentire, dopo l’incontro avuto con Marianna Madia il 26 luglio scorso, e l’assicurazione ministeriale che a settembre andrà avanti la trattativa per il rinnovo del contratto di categoria. Una vertenza ancora al palo, visto che il governo vorrebbe assicurare (piccoli) aumenti retributivi solo agli addetti della pubblica amministrazione con i redditi più bassi, indicativamente sotto la soglia dei 26mila euro lordi annui.

I sindacati avvertono: “E’ di sette miliardi il costo di un rinnovo triennale dei contratti – segnala Nicola Turco che guida la Uilpa – questa è la cifra che il governo deve mettere sul piatto, diversamente sarebbe ragionare sul nulla”. Mentre il Codacons annuncia una class action al Tar del Lazio, con l’adesione ad oggi di duemila lavoratori, chiedendo un totale di 10.400 euro per ciascun ricorrente: “A compensazione del sacrificio imposto per effetto del mancato adeguamento del trattamento economico-stipendiale”.

I calcoli dell’associazione dei consumatori si basano sul periodo compreso fra il primo gennaio 2010 e il 30 luglio 2015, giorno in cui la Corte Costituzionale sancì l’illegittimità del blocco della contrattazione. Ma solo a partire dall’agosto seguente, stabilì la Consulta, escludendo quindi la retroattività per evitare il collasso del bilancio statale. Peraltro in quella occasione la stessa Avvocatura generale dello Stato quantificò in 35 miliardi il risparmio grazie ai mancati rinnovi contrattuali in quei cinque anni e mezzo.

Di qui parte la Uilpa per calcolare in sette miliardi la dotazione che il governo dovrebbe mettere a disposizione per il rinnovo: “E che le risorse a legislazione vigente ci siano, non è un mistero – avverte Turco – quindi occorre, lo ribadiamo, agire sulla politica dei bonus, sulle consulenze esterne nella pubblica amministrazione, sulla reinternalizzazione dei servizi, sul sistema degli appalti e degli acquisti, e restituire anche ai lavoratori il frutto del lavoro compiuto con la lotta all’evasione”.

Lo stallo nel prodotto interno lordo non deve essere un alibi per il governo: “Queste notizie non possono fare da apripista a nuove fumate nere sulla disponibilità delle risorse necessarie alla ripresa della contrattazione, perché questo genererebbe una frattura insanabile”. Sul tema, Maurizio Bernava, segretario confederale della Cisl, fa sapere: “Pur con forti differenze tra i vari comparti, ogni lavoratore pubblico ha perso dal 2008 una media di 2.500 euro lordi l’anno, pari a 150 euro netti al mese, circa 220-230 euro lordi”. Bernava tira le somme: “Il governo deve fare uno sforzo, i 300 milioni messi sul piatto sono pochissimi, a fronte dell’introduzione di tutti gli elementi di innovazione contrattuale”. Di qui i cislini indicano nei sette miliardi della Uilpa solo la base da cui partire: “E’ il minimo – sentenzia il segretario generale Giovanni Faverin – che serve per rinnovare i contratti”.

Calcoli quasi identici arrivano dalla Fp Cgil. Michele Gentile, coordinatore del dipartimento del pubblico impiego del sindacato di Corso d’Italia, quantifica in 212 euro lordi al mese l’effetto del mancato rinnovo per i circa 3,2 milioni di dipendenti pubblici. “I sette miliardi annui considerati dall’Avvocatura, al lordo delle tasse, significherebbero almeno 212 euro persi al mese per ogni anno, e destinati a crescere. Questa sarebbe, con questi numeri, la perdita retributiva dovuta al blocco dei contratti”. Al netto gli stipendi dei dipendenti pubblici dovrebbero quindi aumentare di 132 euro, visto che con le tasse dei sette miliardi spesi tornerebbero nelle casse dello Stato circa 2,3 miliardi.