A qualche centinaia di metri dal piazzale della Reggia dove papa Francesco questo pomeriggio celebrerà la messa al termine della sua veloce visita pastorale a Caserta c’è l’ex Macrico (Magazzino centrale ricambi mezzi corazzati), un’area di 33 ettari – la superficie di 30 campi da calcio – di proprietà dell’Istituto diocesano per il sostentamento del clero (Idsc). Un «polmone verde» per una città assediata da cave e discariche. Totalmente inutilizzato, perché l’Idsc tiene ben chiusi i cancelli. In attesa di venderlo a 40 milioni di euro, magari a qualche palazzinaro che poi farebbe presto a costruire e rivendere a caro prezzo case e appartamenti.

Associazioni ambientaliste (Legambiente e Italia Nostra), centri sociali (Ex canapificio e Millepiani), religiosi di frontiera (i sacramentini di Casa Zaccheo e le orsoline di Casa Rut che lavorano con i migranti e con le donne vittime di tratta e di sfruttamento sessuale), cattolici di base e migliaia di cittadini riuniti nel comitato Macrico Verde temono la mega-speculazione edilizia e si oppongono da anni. E oggi che il papa è a Caserta, scrivono a Bergoglio – ma anche al segretario della Cei Galantino, al vescovo della città D’Alise e al presidente dell’Istituto centrale sostentamento clero – una lettera, anticipata ieri dall’agenzia Adista: «La Chiesa restituisca alla città come bene comune indivisibile» il Macrico, per essere coerente con il Vangelo e con la Dottrina sociale della Chiesa secondo la quale «la giustificazione della proprietà privata non ha mai negato la destinazione universale dei beni della terra».

La storia è antica. Il terreno – 324.533 metri quadrati, di cui tre quarti coperti da alberi e prati, nel centro di Caserta – appartiene alla Chiesa dal 1600, quando serviva per mantenere la mensa vescovile. Poi venne dato in affitto ai Borboni, che lo usarono come Campo di Marte per le esercitazioni militari. Infine passò alle Forze armate italiane che vi costruirono magazzini e una caserma logistica per 500mila metri cubi, occupando un quarto della superficie. Nel 1994 tornò alla diocesi e ne divenne proprietario l’Idsc, articolazione periferica dell’Istituto centrale sostentamento clero (nato nel 1985, dopo la revisione del Concordato, per gestire parte dei fondi dell’8 per mille, oggi oltre 1 miliardo di euro all’anno). Gli istituti diocesani sono proprietari ed amministratori di tutti i «benefici ecclesiastici», vale a dire i beni della diocesi, hanno personalità giuridica autonoma, non dipendono cioè dal vescovo, che deve essere interpellato solo per i «movimenti» superiori ai 250mila euro, mentre sopra 1 milione di euro serve «il preventivo parere» della Cei e «l’autorizzazione» della Santa sede.

Nel 2000 il Macrico stava per essere acquistato dal Comune di Caserta, che non si sa come lo avrebbe utilizzato: si parlava genericamente della costruzione di «infrastrutture primarie». Il vescovo di allora, mons. Raffaele Nogaro – ora in pensione –, sempre schierato perché il Macrico diventasse un bene comune per tutti i cittadini di Caserta, sentì puzza di speculazione e di cemento e bloccò l’operazione. Da allora si sono alternate ipotesi di vendita – si sono interessati all’acquisto costruttori campani come i Coppola (cementificatori del litorale domizio), coop rosse, imprenditori vicini alla Compagnia delle Opere (il braccio economico di Comunione e liberazione), lo Stato per un confuso progetto per i 150 anni dell’Unità d’Italia – e le mobilitazioni del Macrico Verde per la salvaguardia e la restituzione dell’area alla città come parco pubblico. La faccenda sembrò chiudersi quando la Soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici pose il vincolo sull’area, bloccando così qualsiasi programma di edificabilità. Ma nel 2012, accogliendo il ricorso dell’Idsc, il Tar della Campania lo annullò, rimettendo di fatto il terreno sul mercato.

07DESKF02 RIAPERNTURA BERGOGLIO PAPA 838719
Solo con il Macrico – quindi senza considerare gli altri immobili diocesani – l’Idsc «è il primo e assoluto proprietario del territorio comunale», rileva il comitato: la superficie urbanizzata di Caserta è di 1.339 ettari, il Macrico ne rappresenta il 2,5%, «una percentuale elevatissima nelle mani di un solo ente a fronte della restante parte per 80mila cittadini». Proporzioni da latifondista medievale.

È tutto legale, anche la vendita, risponde l’Idsc. Vero, «ma la legalità è troppo poco quando offende la giustizia. L’Istituto investe, specula, compra, vende per il solo profitto. Tutto legittimo, ma è secondo giustizia?», chiedono i componenti del Macrico Verde a papa Francesco. E ricordano che proprio Bergoglio, nell’esortazione Evangelii Gaudium, ha scritto che la destinazione universale dei beni è «anteriore alla proprietà privata» e che «il possesso privato dei beni si giustifica per custodirli e accrescerli in modo che servano meglio al bene comune, per cui la solidarietà si deve vivere come la decisione di restituire al povero quello che gli corrisponde». E «non è la nostra comunità di Caserta povera di vita e di salute a causa di spietati cavatori che hanno distrutto e distruggono le nostre colline, di discariche legali e illegali che hanno inquinato definitivamente terreni e falde acquifere? – denuncia il comitato –. Non è economicamente povera a causa di amministratori dissennati che l’hanno portata al dissesto finanziario? Non è povera di verde a causa di una cementificazione speculativa che ha creato un deforme ammasso di case? Non è povera di spazi e di servizi a causa dell’indifferenza di chi ha amministrato e amministra la cosa pubblica in nome del partito, del clan, del gruppo, della cordata?».

Se l’Idsc agirà «seguendo le leggi del mercato e non quelle del Vangelo», sarà evidente che alle parole del papa corrisponde «una prassi economicistica liberista che le nega nei fatti». La soluzione è una sola: la Chiesa «si assuma le sue responsabilità» e restituisca alla città il Macrico «come bene comune indivisibile e prezioso per la vita di tutti».