Washington è spaccata in due, come lo è l’America: sotto il cielo basso e bianco della capitale americana per il giuramento di Trump sono arrivati i suoi sostenitori e, più di tutto, i suoi oppositori. Sin dalla mattina le manifestazioni anti Trump hanno invaso Washington, svolgendosi in tanti modi diversi.

ALLE 9 DEL MATTINO leader religiosi cristiani, ebrei e buddisti si sono uniti ai musulmani per la preghiera del venerdì in moschea; finita la cerimonia inter religiosa i partecipanti si sono uniti al resto delle manifestazioni previste durante la giornata. Che non sarebbe stata una giornata facile si sapeva, ma la situazione è velocemente precipitata.

«Erano 30 anni che non si vedevano lacrimogeni a Washington» dice Samuel, 64 anni che in questa città ci è nato e che da sempre partecipa alle manifestazioni come attivista, e lo sconcerto è palpabile mentre le catene come McDonald’s e Starbucks abbassano le saracinesche e chiudono le porte per evitare gli scontri. Inizialmente le proteste sono avvenute, pacificamente, agli ingressi recintati e con i checkpoint del prato dove si è svolta l’inaugurazione: canti, slogan, cartelli e striscioni che venivano spiegati sotto gli occhi della polizia, senza tensione se non quella politica.

A MANIFESTARE c’erano tutte le anime antagoniste americane, da Black Lives Matter a Occupy Wall Street che da giorni organizzava seminari di disobbedienza civile e antagonismo non violento, al movimento Lgbtq. Al corteo organizzato da Disrupt J 20 («roviniamo il 20 gennaio») avrebbero fatto parte tutte queste anime che dovevano confluire nella zona nord est esterna alla recinzione per poi formare un corteo parallelo alla sfilata di Trump, ma sin da subito, mentre Daonald stava ancora giurando e molto prima della sua parata, un gruppo di un’ottantina di persone dal volto coperto ha cominciato a tirare spazzatura e oggetti contundenti su edifici simbolici come Bank of America e McDonald’s.

LA REAZIONE DELLA POLIZIA non è stata immediata, i primi lacrimogeni sono arrivati un paio d’ore dopo, e quando alcuni manifestanti hanno lanciato delle bombe carta si è passati dal pepper spray a gas e lacrimogeni. Gli scontri erano in realtà cominciati già la sera precedente. Mentre Black Lives Matter si riuniva al PeaceBall, la contro celebrazione in opposizione a quella di Trump, il DeprecaBall, manifestazione celebratoria ufficiale del 45° presidente degli Stati uniti, veniva presa d’assalto da un altro gruppo di manifestanti; alcuni cestini dell’immondizia venivano dati alle fiamme e la polizia interveniva per riportare l’ordine e praticare avresti.

Durante la giornata inaugurale la stessa prassi si è ripresentata, con la difficoltà di interrompere le violenze in quanto arrivavano continuamente nuovi elementi, meno stanchi e più arrabbiati, a sostituire i manifestanti arrestati . Non solo a Washington, in tutti gli Stati uniti erano anni che non si assisteva a questo tipo di protesta, che nulla ha a che vedere con l’uso dei lacrimogeni di Ferguson e St Louis.

LE TATTICHE DI DISOBBEDIENZA civile non violenta hanno caratterizzato l’antagonismo americano degli ultimi 15 anni, dalle manifestazioni globali del 2003 a Standing Rock, all’eruzione della violenza urbana, è un ritorno da un passato che sembrava archiviato per sempre. «A tutti noi piace sentire il rumore delle vetrine che si rompono – aveva detto Jello Biafra, musicista punk e militante, durante le manifestazioni del primo anniversario di Occupy Wall Street – ma Genova ci ha insegnato quanto facile sia infiltrarsi in una manifestazione violenta, è un arco di trionfo per gli infiltrati. Infiltrarsi in un movimento complesso che rivoluziona tramite l’intelligenza è un processo molti più ostico».

Questo ritorno della guerriglia urbana ha preso tutti in contropiede. Riuscirà la presenza di Trump a dividere, oltre la nazione, anche il movimento?