Il testo di accordo della Cop21 si restringe. L’ultima versione di compromesso è solo di 29 pagine (quella di sabato scorso ne aveva ancora 48, quella messa a punto alla riunione preliminare di Bonn, 55). Le parentesi quadre, cioè i punti in sospeso con soluzioni alternative, sono certo diminuite di tre quarti (erano già scese da 1400 a 750), ma ne restano ancora qualche centinaio. “Dovrete lavorare stanotte a domani”, ha avvertito ieri pomeriggio il presidente della Cop21, il ministro Laurent Fabius, che attende un accordo finale “a tappe forzate” entro venerdi’ pomeriggio. Qualche compromesso è stato messo a punto: riguarda la parte che auspica un maggiore impegno per l’adattamento al riscaldamento climatico, che interessa soprattutto i paesi più poveri, quella sulle azioni per affrontare i danni causati dal disordine climatico e il capitolo dedicato alla “trasparenza” sull’operato delle “parti”, cioè dei 195 paesi (più la Ue) che partecipano alla Cop21. Restano disaccordi su punti di primaria importanza: sulla “differenziazione”, cioè l’assunzione di responsabilità da parte dei paesi industrializzati e di conseguenza il maggiore impegno del Nord del mondo; sui finanziamenti e i trasferimenti di tecnologia verso i paesi più colpiti, che sono soprattutto quelli più poveri; e, infine, sull’ “ambizione” dell’accordo. Questo capitolo contiene l’impegno di mantenere “sotto i 2°” il riscaldamento climatico, ma nella versione finale potrebbe anche essere menzionato l’ “obiettivo” di 1,5°, come richiesto dai paesi più vulnerabili. Resta il fatto che questo tipo di impegno riserva una gran parte di indeterminatezza, per alcuni esperti si tratta di una prospettiva irraggiungibile, per altri implica l’intervento di tecnologie pesanti, cioè la predominanza dei grandi gruppi industriali e delle loro soluzioni controverse. Siamo lontani dall’utopia di Enele Sosene Sopoaga, primo ministro di Tuvalu, un arcipelago di nove isole della Polinesia, che ha dichiarato a Parigi: “se salviamo Tuvalu, salviamo il mondo”.

Le ong sono scettiche e, per il momento, abbastanza deluse. Il Wwf teme che, entro la conclusione venerdi’, dei “soggetti fondamentali scompaiano” dal testo finale. Oxfam accusa: si stanno accontentando del “più piccolo denominatore”. La presidenza francese ha trovato una formula per mascherare le difficoltà: il testo sarà “politicamente vincolante”. Cioè, non sarà veramente “vincolante”, anche perché questa era una pretesa fuori portata all’Onu, dove la Carta di fondazione del ’45 non prevede un sistema di sanzioni per chi non rispetta gli impegni. Nel testo, come fattore positivo, ci dovrebbe essere pero’ almeno l’impegno di rivedere – e quindi, migliorare – gli impegni nazionali, ogni 5 anni di qui al 2030. Si tratta di un’apertura, della possibilità di entrare in un processo continuo, che potrebbe portare alla riflessione di un nuovo modello di sviluppo. E’ questo il più grande progresso della Cop21 di Parigi, anche l’impegno dei 100 miliardi l’anno di finanziamento potrebbe venire rivisto al rialzo, ha sottolineato Nicolas Hulot, “inviato speciale per la protezione della Terra” del presidente Hollande. Ma gli ostacoli restano: i paesi petroliferi (Golfo e Venezuela in testa) non vogliono sentir parlare di “decarbonizzazione”, New Delhi insiste sul fatto che un terzo dei poveri del mondo sono indiani e che quindi non si puo’ frenare lo sviluppo, gli Usa continuano a rifiutare accordi vincolanti sul clima, anche perché andrebbero incontro a una bocciatura certa al Congresso (Washington non ha ratificato Kyoto), la Ue è divisa, i paesi in via di sviluppo aspettano i finanziamenti.