Qualche spiraglio sulla questione dei divorziati risposati, chiusura netta sulla contraccezione, alcune aperture di credito sulle relazioni di amore che legano le coppie conviventi o sposate solo civilmente e le coppie omosessuali, pur ribadendo in maniera ferma la dottrina sul matrimonio.

A metà dell’assemblea straordinaria del Sinodo dei vescovi sulla famiglia – cominciata in Vaticano lo scorso 5 ottobre – ieri l’intervento (Relatio post disceptationem) del cardinal Péter Erdo, relatore generale dell’assise, ha fatto la sintesi dei lavori della prima settimana e ha dato il via al confronto di questa seconda settimana, che si svolgerà non più in assemblea ma nei circoli minori per gruppi linguistici.

Sul tema che ha caratterizzato il dibattito pre-sinodale – soprattutto sui media –, quello dell’accesso ai sacramenti da parte dei divorziati risposati (al momento sono esclusi), sembra prevalere la linea riformista di cauta apertura del cardinal Kasper, attaccata duramente dalla minoranza conservatrice. Si parla della possibilità di «rendere più accessibili ed agili le procedure per il riconoscimento dei casi di nullità» dei matrimoni, anche incrementando le responsabilità del vescovo diocesano – soluzione gradita ai settori tradizionalisti –, ma anche, come suggeriva Kasper, di prevedere la possibilità dell’accesso ai sacramenti, «preceduto da un cammino penitenziale», valutando caso per caso. Bocciata senza appello, invece, la proposta del cardinal Scola di limitarsi alla «comunione di desiderio». «Se è possibile la comunione spirituale – spiega Erdo, riportando l’opinione di molti padri sinodali –, perché non poter accedere a quella sacramentale?».

Confermata la chiusura sulla questione della contraccezione, come del resto risultava chiaro già dall’Instrumentum laboris (la traccia di lavoro del Sinodo), nonostante ai vescovi sia chiaro che i fedeli non seguono da tempo le indicazioni del magistero. È vero che spesso non si fanno figli perché le coppie sono senza lavoro e senza casa («i fattori di ordine economico esercitano un peso talvolta determinante contribuendo al forte calo della natalità»), tuttavia si ribadisce che «l’apertura alla vita è esigenza intrinseca dell’amore coniugale». Vanno bene i metodi naturali di controllo delle nascite, non quelli artificiali. Il punto di riferimento resta la Humanae Vitae di Paolo VI, che su questo argomento ha messo una pietra tombale.

Le aperture di credito più sorprendenti arrivano sul fronte dei matrimoni civili, delle convivenze e delle coppie omosessuali. Queste unioni ovviamente non vengono approvate – il matrimonio canonico resta l’unica forma pienamente accettata –, ma viene riconosciuto loro un certo valore. Bisogna cogliere «la realtà positiva dei matrimoni civili e, fatte le debite differenze, delle convivenze», all’interno delle quali vi sono «elementi costruttivi», spiega Erdo. La convivenza «è spesso scelta a causa della mentalità generale, contraria alle istituzioni ed agli impegni definitivi, ma anche per l’attesa di una sicurezza esistenziale (lavoro e salario fisso)». «Anche in tali unioni – proseguono i vescovi – è possibile cogliere autentici valori familiari o almeno il desiderio di essi». E delle coppie omosessuali – dopo aver duramente attaccato l’«ideologia del gender» – si ricorda che «non possono essere equiparate al matrimonio fra uomo e donna», ma «si prende atto che vi sono casi in cui il mutuo sostegno fino al sacrificio costituisce un appoggio prezioso per la vita dei partner» e dei bambini. Poca cosa, in termini assoluti, ma un significativo cambio di marcia rispetto alla durezza espressa durante i pontificati di Wojtyla e di Ratzinger e tutt’ora contenuta nel Catechismo della Chiesa cattolica.

All’ordine del giorno non ci sono rivoluzioni copernicane, anche perché viene ribadito il metodo della «gradualità» e la necessità di unire «dottrina» e «misericordia». Ma ad oggi la linea intransigente pare ridimensionata. Sabato arriverà la relazione finale.