Sul Congresso del Partito, sulla leadership di Kim Jong-un e in particolare sulle attuali caratteristiche del regime nordcoreano e la sua «postura» all’interno delle relazioni internazionali, abbiamo intervistato Antonio Fiori, uno dei massimi esperti della Repubblica Democratica di Corea, professore all’Università di Bologna dove insegna International Relation of East Asia. Antonio Fiori ha di recente pubblicato Il nido del falco, mondo e potere in Corea del Nord (Le Monnier, 16 euro)

Professore, partiamo dal Congresso: benché si sappia pochissimo di questo evento, l’ultimo del resto fu nel 1980, che significato ha e cosa ci possiamo aspettare in termini di strategia della leadership coreana?
Tutti stiamo aspettando di capire cosa verrà deciso, perché non abbiamo alcun elemento per sapere con precisione cosa verrà deciso. Del resto oggi parte un congresso che non viene organizzato dal 1980. Penso che si aprirà con una relazione di Kim jong-un e mi aspetto, ma potrei essere smentito, una relazione all’interno delle due questioni che ricadono nel pyongjin (il «progresso parallelo», progetto di Kim sullo sviluppo contemporaneo degli aspetti militari e della parte economica del paese, ndr) una politica che parte con l’adozione del potere di Kim ma che affonda le sue radici nella politica del nonno Kim Il-sung. Quello che accadrà presumibilmente è che Kim utilizzerà il congresso per presentare i risultati del pyongjin che ha due anime, facendo un discorso nel quale verrà sicuramente toccata la parte militare – nuclearista del progetto che è stata raggiunta all’inizio del 2016 con il test nucleare ma probabilmente segnalerà anche – sempre decida di parlarne davvero – il fatto che l’altro obiettivo invece relativo al miglioramento delle condizioni economica non è stato ancora raggiunto e quindi dovrà mascherarlo, con parole che non indicheranno la necessità di riforme economiche. Non credo – infatti – ci si possa aspettare riforme economiche di stampo cinese, per quanto i cinesi continuino a suggerirlo. Da un punto di vista economico nonostante il paese sia investito da moltissimi problemi, gli ultimi 15 mesi all’incirca hanno testimoniato una crescita del Pil abbastanza inattesa. Non siamo più agli anni ’90. Il Congresso è un incontro meramente simbolico, credo sia abbastanza acclarato. Tutto quanto avvenuto negli ultimi tempi non era nient’altro che il tentativo di costruire la legittimazione del leader. Si attendeva anche un altro test nucleare in questi giorni, ma per fortuna finora non ci sono stai eventi di rilievo in questo senso.

Ma da un punto di vista economico quali potrebbero essere le scelte del giovane leader del paese?
Non mi aspetto delle grandi riforme, non è chiaro quale sarà l’obiettivo e dove volgere l’attenzione. Non si andrà né verso una riforma cinese né vietnamita, perché fare quelle riforme significherebbero un’apertura all’esterno e quindi tenderei a escluderlo. Probabilmente ci sarà una maggiore collaborazione con la Cina nella parte settentrionale del paese e con la cura delle zone economiche speciali che Pechino controlla a 360 gradi e forse qualche maggiore apertura verso i mercatini privati (bancarelle o supermarket che ormai esistono all’interno del paese) e attività di questo genere che sono quanto meno concepite dallo stesso regime per non prendersi la responsabilità di dominare completamente l’economia.

Si può dire che questo Congresso segnerà la fine del percorso di costruzione della leadership e il passaggio alla sua «tenuta»? Sono previsti anche ricambi politici non da poco nel Comitato centrale.
Assolutamente: il processo è iniziato con l’investitura di Kim e poi si è andato consolidando dopo la morte del padre. Sono convinto di questo nonostante spesso sulla stampa si parli di una serie di esecuzioni ai danni di questo o quell’altro, come fosse una cosa nuova. Questi sono eventi che ci sono sempre stati in Corea. Kim non sta facendo niente di nuovo: quando ha preso il potere si è liberato gradualmente di tutta quella vasta schiera di personaggi fedeli al padre e che non era detto sarebbero stati fedeli anche a lui, preferendo quindi circondarsi di una nuova schiera di personaggi che erano molto secondari ma che hanno garantito una fedeltà assoluta. Fa quello che normalmente i dittatori fanno, cioè circondarsi di personaggi fedeli.

La Cina sembra sempre più infastidita, anche se come sottolinea nel suo libro, non siamo di fronte a una novità. Ma è pur vero che alcuni segnali sono molto più forti di un tempo.
Uno degli sforzi principali che ho fatto nel libro è relativo alla questione cinese: la Cina non è infastidita dalla Corea del Nord solo negli ultimi tempi, già dai tempi di Deng Xiaoping si era originata una sorta di scollamento dei rapporti. Deng aveva indirizzato Kim Il-sung verso le riforme economiche, ma Kim era lì per ricevere aiuto. La Cina ha provato a indirizzare la Corea verso una nuova politica economica da tempo. L’ultima amministrazione è molto infastidita dalla Corea del Nord; anche dal punto di vista simbolico è sotto gli occhi di tutti. Xi Jinping non ha mai preso in considerazione la visita in Corea del Nord, tanto meno i coreani hanno omaggiato il tradizionale alleato. Questo la dice lunga: c’è uno sfilacciamento dei rapporti. Gli organi di stampa cinesi ormai criticano pubblicamente e senza freni Pyongyang: prima non era mai accaduto. In più la Cina sta spalleggiando la posizione degli Stati uniti perché se è vero che di facciata ratifica le sanzioni e poi cerca di convincere tutti a lenirle, è pur vero che una nave nordcoreana non è stata fatta attraccare nei porti cinesi e che la Cina ha bloccato alcuni commerci con Pyongyang, compreso l’acquisto del carbone, alla base del commercio con i due paesi. C’è quindi un allentamento, ma che possa esserci uno scollamento totale è molto difficile. Significherebbe che la Cina decide di accollarsi un problema molto grande nella regione, con vari rischi connessi. Non scordiamoci che una Corea implosa significherebbe anche maneggiare l’arsenale nucleare della Corea del Nord o giudicare tutta la classe politica nord coreana.

Compreso il rischio di rifugiati?
È vero che nei momenti di maggiore tensione la Cina ha accumulato truppe ai confini della Corea del Nord, ma più mi confronto con demografi e studiosi di migrazioni in caso di guerra più mi convinco che la questione potrebbe anche non degenerare come viene presentata, perché i demografi dicono che in caso di conflitto non è realmente vero che possa esserci una fuga della popolazione. I nord coreani vivono nelle loro case, hanno – comunque la si pensi – un loro status, una loro vita lì e non è detto che tutta questa popolazione possa decidere di scappare anche in caso di collasso del regime.

E poi ci sono gli Usa. Da Obama a Clinton, potrebbe non cambiare niente, visto che nel libro spiega la politica di Hillary da segretario di stato.
C’è una discrasia nella posizione di Obama. Il presidente americano aveva un approccio di un certo tipo prima dell’elezione e ne ha tenuto un altro dopo l’elezione. Aveva detto che avrebbe cercato di risolvere la questione nordcoreana e non è riuscito a farlo anche per errori marchiani. Credo che la politica della «pazienza strategica» (come è stata definita dall’amministrazione americana ndr) non sia altro che un errore macroscopico. Ha messo la Corea in un angolo aspettando un grave errore militare o un cambiamento. Questo è un errore: la Corea era da ingaggiare, avrebbero dovuto innescare una forma di dialogo proprio nel momento in cui Obama ha assunto il secondo mandato, perché c’era un cambiamento in tutta quella zona d’Asia con i paesi che rinnovavano i vertici politici, compresi Corea del Sud, Taiwan e Cina. Quello era il momento per tentare di fare qualcosa. Consegnare la Corea all’isolamento non ha portato a nulla se non fare crescere la Corea dal punto di vista militare, visto che ormai è completamente autosufficiente. I test e i lanci di missili testimoniano questo: la Corea del Nord non è un paese danneggiato dall’isolamento in cui è stato consegnato.