È una mostra d’arte sacra buddhista quella che i vertici della politica e della cultura giapponesi hanno voluto a Roma in occasione della commemorazione dei centocinquant’anni dalla firma del primo Trattato di amicizia e commercio tra Giappone e Italia. Una rassegna che presenta una selezione di 35 sculture dal VII al XIII secolo, tesori nazionali e proprietà culturali importanti provenienti da templi buddhisti, santuari shintoisti e musei nazionali che, sotto la cura di Takeo Oku, specialista dell’Agenzia per gli affari culturali del Giappone, ha inaugurato sotto l’alto patronato del Presidente della Repubblica Mattarella. Sarà visibile per un solo mese alle Scuderie del Quirinale, fino al 4 settembre.
Un progetto difficile quanto affascinante, senz’altro speciale per l’Italia dove la scultura per tradizione è immediatamente associata a soggetti cristiani o della mitologia greco-romana oltre che all’assoluta perfezione e alla solidità del marmo, mentre questa rassegna parla di divinità buddhiste, di sincretismo religioso e di incroci culturali, oltre che di una civiltà dove sono la lievità e la mutabilità del legno a segnare il tempo e il rapporto tra umano e divino.

Il primo esempio elegantissimo di figura assisa che accoglie il visitatore è una rappresentazione bronzea del buddha storico Shaka nyorai del VII secolo, l’epoca giapponese Asuka, quando il pensiero buddhista insieme alle sue scritture sacre e alla sua iconografia era appena sbarcato in Giappone portandosi appresso tutte le caratteristiche acquisite durante il suo passaggio dall’India alla Cina e poi alla Corea fino all’Arcipelago. Questo racconta il volto calmo di Shaka, dal sorriso appena percettibile, tipico della statuaria cinese del VI e VII secolo, così come è riconoscibile l’influenza indiana Gupta già accolta nella Cina dei Tang nell’aderenza della veste al corpo che ne mette in evidenza ogni forma. Il resto delle sculture esposte sono tutte lignee, alcune originariamente coperte in foglia d’oro, altre con pigmenti colorati oggi appena percettibili, alcune incise da un unico blocco di legno ricavato da un solo albero (ichiboku zukuri), altre invece realizzate secondo la nuova tecnica scultorea da più blocchi di legno (yosegi zukuri), che permetteva uno sviluppo in ampiezza e una produzione a catena con maestri specializzati nelle varie parti che assemblavano in loco la scultura finita.

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Dell’epoca Nara (710-794), quando venne fondata la prima capitale del Giappone su modello cinese, è il bellissimo ritratto assiso della figura anziana di Yuima Koji (sanscrito: Vimalakirti), discepolo del buddha Shaka, con le labbra dischiuse nel gesto della predicazione, ma anche le due maschere legate alla tradizione cinese delle danze sacre gigaku utilizzate durante la cerimonia di apertura degli occhi della scultura del Grande Buddha di Nara nel 752. L’estetica Heian (794-1185), il periodo di massima fioritura della cultura classica giapponese autoctona, quando la capitale imperiale fu spostata a Heiankyo, ossia a Kyoto (dove rimase fino al 1868) è invece segnata dall’eleganza e dall’armonia formale, oltre che dal processo di assorbimento di alcune divinità shinto (kami) nel pantheon buddhista. Sia la possente figura stante di Yakushi nyorai, buddha della guarigione, ricavato da un unico tronco di legno scavato all’interno e ben leggibile nella leggerezza della scolpitura che fa aderire la veste al corpo creando una ampia Y tra le gambe, che la figura di divinità maschile apparentemente incompleta che lascia parlare il legno e il tronco d’albero da cui nasce, le sue impurità e le sue venature,  sono legate al sentimento religioso shintoista, a quel panteismo autoctono giapponese che vede in ogni elemento della natura, anche il più piccolo, la presenza del divino.

Un divino senza nome e che non aveva ragione di essere rappresentato prima che il buddhismo arrivasse in Giappone, ma che rimase anche in seguito, mischiandosi in questa forma di sincretismo, quando l’albero venne scelto per divenire scultura buddhista. E mentre il buddha del Paradiso d’Occidente, Amida coperto d’oro e con la testa rotonda come una luna piena e il piccolo bodhisattva danzante sulla nuvola raccontano con le loro proporzioni perfette l’armonia e la raffinatezza della cultura di Corte, le potenti e spaventose figure dei Dodici Generali Divini, dei Quattro Sovrani Celesti, così come le realistiche sembianze di monaci e altre figure religiose, esprimono la grande novità della ritrattistica di epoca Kamakura (1185-1333), quando il potere passò nelle mani della classe samuraica. Un percorso spirituale, un viaggio geografico ma anche culturale, che attraversa il continente asiatico dall’India, alla Cina alla Corea per raggiungere l’arcipelago nipponico portando con sé forme, colori, odori, gesti e tessuti, parole e simboli che si fondono nell’unicità dell’espressione artistica giapponese.