Destini è il titolo del nuovo libro di Corrado Stajano (Archinto, pp. 182, euro 15). È un libro magnifico: una raccolta di diciassette ritratti di uomini della cultura italiana del Novecento, chiusa da un capitolo dove invece a venir raccontata non è la storia di una persona ma quella di una tovaglia di lino bianco, sulla quale per molti anni, dal 1915 al 1947, Giuseppe Antonio Borgese e sua moglie Maria invitarono tutti i loro ospiti, «in segno di amicizia, a scrivere con un lapis la propria firma». Oggi quella tovaglia è appesa a una parete della casa dello stesso Stajano e di sua moglie Giovanna, nipote di Giuseppe Antonio (una donna bella, intelligente, autrice di foto che rappresentano a loro volta testimonianze importanti del Novecento); e forse, attraverso le centinaia di nomi che vi sono impressi (da Tagore a Zweig, da Marinetti, a Croce, da Mussolini a Vittorio Emanuele, a De Gasperi), «è ancora più illuminante delle altre storie di vita di queste pagine e fa capire come sono misteriosi i destini degli uomini, coi loro desideri, speranze, sconfitte».
I destini sono dunque i protagonisti della raccolta, come lo sono sempre nei libri di Stajano. Lui per primo ne è consapevole, e ne dà atto nella prefazione, e altri del resto lo hanno già notato, da ultimo ad esempio Paolo Di Stefano. È proprio così: da sempre Stajano racconta le vite dei singoli, e da sempre lo fa a partire dai particolari e dai luoghi, perché sono i particolari a rivelare le persone, mentre i luoghi in cui vivono, nei loro caratteri quasi antropologici, aiutano a descriverle, a fissarle nel tempo e nel contesto.
Basti pensare, quanto ai luoghi, alla descrizione, nel memorabile Sovversivo, delle strade di Pisa lungo le quali, nel 1972, l’anarchico Franco Serantini venne ucciso dalla polizia durante uno scontro di piazza; o all’avvocato Giorgio Ambrosoli, che Un eroe borghese inizia a raffigurarci attraverso la descrizione dei locali di una trattoria del quartiere di Milano dove abitava. Oppure si pensi, quanto ai particolari, a Giuseppe Fiori (ma il suo vero nome era Peppino), giornalista e scrittore, autore di Una vita di Antonio Gramsci che nel 1966, quando venne pubblicata, aveva rivoluzionato «tutto quanto era noto del politico e pensatore sardo». Nell’amorevole e splendido capitolo che Destini gli dedica, Fiori sembra svelato nella sua essenza – di «quel che veramente era, una specie di pastore sardo, solo un po’ modernizzato» e «senza finzioni – attraverso quel suo giaccone sfoderato d’agnello un po’ sformato perché cacciava là dentro tutto quanto gli capitava in mano». «Stajano è grande soprattutto come scrittore», ha scritto Cesare Segre, ma «il soprattutto non esclude affatto le altre qualità; al contrario, può aiutare a metterle meglio in luce».
Chi sono i protagonisti dei ritratti di Destini, e cosa li accomuna, se qualcosa li accomuna? Sono, oltre a Giuseppe Fiori e alla tovaglia di lino della famiglia Borgese, Paolo Volponi, Danilo Montaldi, Tiziano Terzani, Claudio Magris, Agostino Richelmy, Alberto Cavallari, Ermanno Olmi, Saverio Tutino, Padre Turoldo, Cesare Cases, Giorgio Manzini, Giulio Einaudi, Vincenzo Consolo, Romano Bilenchi, Franco Cavallone e Raffaele Mattioli. Giornalisti, scrittori, poeti. Un editore (Einaudi), un banchiere che però era anche un editore (Mattioli), un notaio che però traduceva anche i Peanuts di Linus e che aveva fondato una libreria (Cavallone), un prete che però era anche un poeta (Padre Turoldo). Una comunità di vivi e di morti, come direbbe Giovanni Raboni; alcuni celebri, altri perlopiù dimenticati. Ma tutti espressione di un’Italia colta e civile e tutti maestri, nei loro campi; e soprattutto, per usare le parole usate alcuni anni fa dallo stesso Stajano nell’introduzione di un altro suo libro che di Destini è parente stretto, Maestri e infedeli, tutti «infedeli rispetto al tempo storico in cui hanno vissuto, anomali, disubbidienti, non conformisti, ribelli, eretici» (Maestri e infedeli conteneva biografie in forma di interviste, Destini in forma di racconti).
Anche Corrado Stajano è maestro e infedele, un testimone della Storia: della Storia intesa come memoria, nella quale le gesta dei re devono contare tanto quanto i pensieri e le azioni dei muratori che costruirono Tebe, come gli rispose una volta Carlo Ginzburg in un’intervista. Stajano coltiva questa medesima accezione della Storia: nei suoi libri i potenti convivono con gli umili, e non esiste differenza fra individui e collettività, perché gli uni sono iscritti nell’altra, umili o potenti che siano. Destini lo conferma, perché ciò che in definitiva emerge dalle schegge che contiene è il ritratto di un secolo tout court.