Milano capitale dello sport? Tra il 1735 e il 1914 nasce e si sviluppa lo sport meneghino, vezzo dell’aristocrazia e della borghesia e poi dei «puzzapiedi» proletari. I giardini delle osterie e dei caffè, i primi luoghi di ritrovo degli sportivi milanesi. Lo storico Felice Fabrizio ha percorso un emozionante viaggio nelle viscere della Milano sportiva e ha scritto un libro di grande interesse Storia e leggenda dello sport milanese. Le attività fisico-sportive dal 1735 al 1915 (euro 19,90 infinito edizioni).

Perché un libro sullo sport a Milano?

Ero stanco di affrontare un tema complesso come lo sport italiano nella sua generalità. La città è un organismo vivente, fatto di diversi settori, segmenti, bisogni, spesso in contrapposizione, Baudelaire dice che la città cambia forma molto più rapidamente di quanto non cambi l’animo dell’uomo.

Lo sport ha cambiato Milano?

Il tema degli impianti sportivi è molto interessante, se si eccettua l’Arena, che è il primo e a lungo l’unico impianto strutturale polifunzionale, a Milano lo sport nasce e si colloca negli spazi naturali, i parchi, i giardini, le piazze, i viali. Una serie di sport elitari si praticano intorno alla zona di San Siro, quelli più popolari si calano letteralmente nel ventre della città, in spazi marginali, ristretti, precari, che sono i più interessanti. Tranne l’Arena e San Siro, che però è la riedificazione di vecchie strutture, di quegli spazi non rimane più nulla.

I luoghi dei primi sport sono il retro delle osterie, dei caffè. Piuttosto insoliti?

Paradigmatica è la parabola della Società del Giardino, che nasce come umile ritrovo di appassionati di ‘boccie’ come recita lo statuto, nel giardino di un’osteria da dove comincia un continuo peregrinare fino a un prestigioso palazzo di via San Paolo. Man mano che le attività motorie si istituzionalizzano, gli spazi si rinchiudono e si specializzano.

L’aristocrazia milanese colleziona cariche elettive nelle società sportive?

I ricchi tenevano tantissimo ad accumulare cariche di valore puramente onorifico. A Milano l’aristocrazia e l’alta borghesia si integrano immediatamente, non c’è il disprezzo verso i nuovi ricchi, il presidio del territorio, delle mode è strettissimo, perciò la nascita di alcuni sport di matrice popolare è particolarmente rilevante perché apre una breccia dentro la fortezza.

Una breccia ampia?

Alcune attività sportive, come la lotta e il podismo, sono di matrice popolare, nascono al di fuori dello stretto controllo elitario, però vengono soffocate sul nascere, perché a queste pattuglie eroiche di pionieri mancano la cultura sportiva, le finanze, la possibilità di farsi ascoltare da qualcuno, perciò sono destinate a rientrare velocemente nel circuito dello sport spettacolo. Anche la lotta nasce in questo contesto, se dovessi indicare il luogo storico dello sport milanese non indicherei l’Arena, ma un magazzino di frutta dalle parti di Porta Genova, dove nel 1896 nasce la Compagnia dei Bei, un gruppo di persone che si riunisce, versa i soldi per comprare quel poco che gli serve, si esercita, per entrare nella cantina anche il ricco deve sostenere un incontro di lotta. Lo stesso succede per il podismo, sono realtà che vivono quattro o cinque anni, dopodiché la Gazzetta dello Sport, che ha un gran fiuto per le passioni popolari, se ne impadronisce e trasforma il podismo in professionismo, mettendo in palio lauti premi. Un processo che avviene con tutte le attività sportive, ma soprattutto con il podismo. Tutte le società di quartiere che gareggiano per il piacere di gareggiare, nell’arco di quattro o cinque anni vengono inglobate in una struttura federale e avviate in competizioni spesso semiprofessionistiche, anche perché le manifestazioni più importanti sono le corse su strada.

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Qual è lo sport popolare per eccellenza?

Il podismo non esige attrezzature, bastano un paio di scarpette, le corse si svolgono su strada, non ci sono spese se non l’iscrizione alla società sportiva, è uno sport che mette in evidenza la forza muscolare, una caratteristica della cultura operaia, questo aspetto si evidenzia soprattutto nella lotta, c’è la voglia di dimostrare la propria superiorità. Un altro aspetto interessante è che il ciclismo nasce in ambito aristocratico, diventa borghese e poi popolare, la stessa cosa succede per il podismo che esce dalle classi popolari per diventare qualcosa di più istituzionale, perché le classi egemoni non vogliono confrontarsi con i 1puzzapiedi», ineducati, sporchi, con la divisa lacera. Man mano che si registra questa invasione di spazi da parte delle classi popolari i borghesi si rifugiano in altri sport come l’automobilismo, l’aviazione, gli sport invernali, che restano inaccessibili.

E il calcio?

Lo stesso succede per il calcio, che nasce in ambienti studenteschi o di inglesi e quando diventa popolare i pionieri si allontanano. Nei primi anni del ‘900 si assiste a una diffusione notevole del calcio, sorgono in tutta Milano una gran quantità di squadre e squadrette, che spesso durano lo spazio di un torneo, la gran parte hanno i nomi dei quartieri, vie e porte della città, segni fortissimi di identità, c’è un vero e proprio dilagare di squadre, che poi sfocerà nel boom del calcio.

A Milano nasce una vasta editoria sportiva.

I primi giornali che riportano la parola Sport nella testata sono milanesi, nascono negli anni ottanta dell’800, L’Eco della Sport, La Lettura Sportiva, formalizzano il concetto dello sport, che allora si riduce a caccia, ippica e amore per i cani. Sono riviste molto costose che hanno una grafica bella, si rivolgono a un pubblico elitario. Da questa editoria generalista, si passa alla specializzazione per i più fanatici, che vogliono sapere tutto di una disciplina, ai fogli omnicomprensivi che coprono tutti gli sport e a vari tentativi di dare vita a giornali concorrenziali o similari alla Gazzetta dello Sport, che però falliscono. Nascono 62 testate sportive, alcune delle quali sono rivolti a gruppi di patiti, un po’ come adesso.

Milano è davvero più avanti di Roma, Torino, Napoli, Genova?

Milano ha un vantaggio competitivo dovuto ai soldi, alle capacità organizzative, al dinamismo, alla presenza della Gazzetta dello Sport e al Touring Club, due pilastri che riescono a promuovere iniziative che non si riscontrano in altre città d’Italia. Molte federazioni sportive nazionali nascono a Milano e vivono per un certo periodo, il fascismo le scipperà per portarle a Roma capitale.

Milano culla dello sport cattolico, socialista operaio e nazionalista?

La Milano cattolica arriva in ritardo allo sport. I Ricreatori Laici di natura massonica nascono verso gli anni settanta dell’800, da uno studio attentissimo degli oratori cattolici, i fondatori dei ricreatori si rendono conto che gli oratori milanesi sono molto frequentati, ma che all’interno non si fa nulla di divertente, perciò propongono in alternativa le attività ludiche. Gli oratori arrivano ai giochi sportivi con vent’anni di ritardo, per una serie di preclusioni culturali che interessano anche il famoso il cardinale Ferrari, considerato quello che dà impulso agli aspetti ludici, in realtà inizialmente non è che avesse ben capito a che cosa servisse la ginnastica, lo capisce con il passare del tempo. I cattolici milanesi si rendono conto che un oratorio senza ginnastica, teatro, escursioni, passeggiate, giochi è un oratorio noiosissimo. Sull’altro fronte esiste uno sport operaio molto limitato, perché i socialisti milanesi impiegheranno tempo per riflettere su questi aspetti. Il gruppo ciclistico socialista «Sempre Avanti» è costituito da persone che usano la bicicletta per andare a fare propaganda nei paesi, portare i manifesti, non ci sono grandi esperienze, ci sono solo società escursionistiche. Il nazionalismo sviluppa una sua attività fisico-sportiva, in funzione della preparazione alla guerra, sorgono i volontari ciclisti, i battaglioni studenteschi volontari. Nell’aprile del 1915, durante una marcia, volontari ciclisti e podisti vengono intercettati e picchiati da militanti socialisti, è una pagina molto interessante perché era chiaro fin da allora che lo sport è politica.