Dal primo gennaio in Italia uccidere un freelance con il fisco e la previdenza non è problema. Nemmeno nel decreto «Milleproroghe» il governo Renzi è riuscito a evitare l’introduzione della riforma del regime dei minimi e l’aumento dei contributi alla gestione separata dal 27,72% al 29,72% che penalizzeranno gravemente i lavoratori autonomi con la partita Iva. Un intervento «ad hoc» è stato promesso dal presidente del Consiglio «nei prossimi mesi», ma la doppia tagliola predisposta dal suo governo è scattata subito nella legge di stabilità ed è stata recepita dall’agenzia delle entrate.

Questo segmento del quinto stato, a cui afferiscono gli under 35 che dal 1 gennaio apriranno una partita Iva e gli iscritti alla gestione separata dell’Inps, è stato escluso da ogni incentivo garantito al lavoro dipendente dall’esecutivo targato Pd, ad esempio il bonus degli 80 euro. Senza contare la sua discriminazione rispetto alle categorie del lavoro autonomo che contano di più. Ai commercianti e agli artigiani è stata infatti garantita l’abolizione del minimale Inps e la riduzione del carico fiscale fino a 40 mila euro e 25 mila euro di fatturato (per oltre 500 milioni di euro). A chi svolge un ruolo nelle professioni del lavoro della conoscenza Renzi ha invece triplicato le tasse. Rispetto al vecchio regime fiscale agevolato, questa platea che il ministero dell’Economia calcola tra 570 mila e 772 mila persone, la riforma prevede 15 mila euro di fatturato lordo fissato come tetto massimo, quindi un reddito netto vicino alla soglia di povertà, insufficiente per il riconoscimento di un anno intero di anzianità contributiva.

L’associazione XX maggio ha calcolato il reddito netto medio di questi autonomi in 515 euro mensili (con un compenso lordo medio di 18.640 euro annui). Dopo le nuove tasse e contributi targati Renzi questa cifra sarà certamente inferiore. Andrea Dili, presidente dell’associazione Alta Partecipazione, sostiene che tale accanimento «spingerà fuori dal mercato oltre 300 mila professionisti». Questo significa: disoccupazione, lavoro nero o informale, perdita di quel poco che la crisi ha lasciato a questi lavoratori. Questo processo è già in atto, secondo l’Associazione nazionale consulenti tributari (Ancot). Tra il 2013 e il 2014 è stato registrato un calo tra le partite Iva nei settori assicurativi (-12,6%), artistici (-11,6%) e agricoli (-9,8%), cioè alcuni dei settori colpiti dalla riforma Renzi. Nuove posizioni vengono invece nella sanità, nei servizi alle imprese o nell’istruzione. «Con questi provvedimenti – sostiene Dili – il governo è riuscito a mettere d’accordo per la prima volta tutte le categorie del lavoro autonomo, sia quelle con un ordine professionale che quelle non regolamentate».

Nell’appello intitolato «Non siamo i bancomat dello Stato», Alta partecipazione, Acta e Confassociazioni avevano annunciato iniziative «non convenzionali» di protesta. «Cercheremo di comunicare non solo all’interno, tra i nostri iscritti, questo disagio ma anche a tutti i soggetti, consumatori, aziende, con cui entriamo in contatto ogni giorno – preannuncia Dili – Sia dal punto di vista fiscale, che previdenziale, l’attacco è ben mirato».

Sul sito dell’associazione dei freelance Acta si studiano i modi utili alla sopravvivenza. Tra le altre cose, vengono indicate le forme alternative all’iscrizione alla Gestione Separata che non garantisce nemmeno i diritti fondamentali a questi lavoratori. Per chi ne ha i requisiti, è possibile aprire una posizione contributiva presso la gestione commercianti Inps o quella degli artigiani che offrono un sistema di tutele, come la maternità o la malattia. Acta preannuncia un vademecum per facilitare il confronto e la scelta. Tra le ipotesi c’è la costituzione di società in accomandita semplice (Sas) o società in nome collettivo (Snc); oppure la possibilità di cedere i diritti d’autore sulla componente creativa di un lavoro. La grande fuga dall’oppressione fiscale e previdenziale ideata dal governo 2.0 di Renzi è iniziata.