La polizia britannica ha deciso di sospendere la sorveglianza permanente davanti all’ambasciata dell’Ecuador a Londra: costa troppo mantenere agenti in uniforme 24 ore su 24 per catturare Julian Assange, fondatore del sito Wikileaks. In tre anni – fa sapere Scotland Yard – sono stati spesi almeno 14,9 milioni di euro e non si può andare avanti a quel ritmo: tanto più che la vicenda non sembra potersi risolvere in tempi brevi. La vigilanza continuerà comunque, anche se in modo non visibile: e così pure i tentativi di arrestare Assange per estradarlo in Svezia, dov’è accusato di una presunta violenza sessuale che ha sempre negato, e che data del 2010. Ad agosto di quest’anno, la magistratura svedese ha prosciolto l’attivista per alcune accuse minori, ma non per quella di stupro.

Per ribadire la propria posizione, Londra ha nuovamente convocato l’ambasciatore ecuadoriano, esprimendogli «una volta di più» la «profonda delusione» per i tentativi sempre infruttuosi di farsi consegnare l’attivista. Assange si è rifugiato nella sede diplomatica il 19 giugno del 2012, dopo una complicata vicenda giudiziaria e un lungo processo. Sullo sfondo, lo scandalo internazionale del Cablogate. Il sito Wikileaks è balzato agli onori delle cronache tra luglio e ottobre del 2010, dopo aver pubblicato i documenti segreti del Pentagono, sottratti dal soldato Bradley Manning (oggi diventata Chelsea). Cablogrammi inerenti la guerra in Afghanistan (del 2001) e la seconda guerra all’Iraq, del 2003.

Proprio le atrocità a cui aveva assistito in Iraq, spinsero il giovane soldato a divulgare le informazioni segrete – rifiutate da molti grandi giornali – e ad affrontare la corte marziale. Dopo quelle rivelazioni, dopo mesi di clamore sulla stampa e di imbarazzo delle diplomazie, Assange venne arrestato a Londra il 7 dicembre del 2010 per ordine della magistratura svedese: due donne lo accusavano di aver avuto una relazione sessuale senza protezione. Il processo durò fino al 30 maggio del 2012, quando la Corte suprema britannica accettò la domanda di estradizione. Allora, Assange si rifugiò nell’ambasciata ecuadoriana.

Più tardi, la sua vicenda si è incontrata con quella di Edward Snowden, la fonte del Datagate, che ha portato in luce il grande scandalo delle intercettazioni illegali messo in atto a livello planetario dalle agenzie per la sicurezza Usa. Snowden venne difeso dall’avvocato di Wikileaks, ed è tutt’ora rifugiato in Russia per evitare di subire la stessa sorte di Manning, se non peggio.

Anche in quel caso, l’Ecuador si era dimostrato disponibile ad accogliere Snowden come ulteriore gesto di indipendenza e di sovranità nei confronti dell’arrogante Nordamerica. Le rivelazioni di Snowden riguardavano da vicino il campo progressista che governa gran parte del continente latinoamericano, spiato dagli Usa fino ai massimi livelli.
Da allora, sia Snowden che Assange intervengono via internet nei grandi convegni internazionali per ricordare al mondo quali dinamiche si celino dietro alleanze di guerra e piani geopolitici. In questi giorni, è uscito il libro di Assange The Wikileaks Files: The World According to U. S. Empire. Sugli oltre 250.000 cablogrammi segreti, che rivelano le magagne della diplomazia Usa, quasi 35.000 riguardano l’America latina. Commentandoli in dettaglio, Assange mostra l’ossessione dei falchi nordamericani per «il pericolo bolivariano», in crescendo da quando, nel 1998, il Venezuela ha votato per Hugo Chavez. Da allora, i piani del Pentagono e delle sue agenzie per far cadere il governo venezuelano – dal golpe del 2002 in avanti – si sono estesi agli altri presidenti progressisti dell’America latina, eletti dopo di lui. Contro i governi di sinistra – dall’Ecuador alla Bolivia al Nicaragua – Washington ha impiegato e impiega grandi risorse. E i personaggi di cui si serve oggi in Venezuela sono in gran parte gli stessi.