Che cos’è la danza? Accade a volte di scordare, di fronte a performance mediocri che non vanno al di là di un’idea di partenza riavvolta ostinatamente su se stessa, di quale possa essere la gioia di condividere tra pubblico e scena il potere immaginifico di quest’arte dal vivo. Ogni volta, e con caparbietà quasi infantile, si aspetta qualcosa che svegli la percezione visiva, uditiva, tattile facendo scoprire o riscoprire il potenziale comunicativo e costitutivo dell’arte del movimento e del gesto, cioè della danza, nonché quella meravigliosa capacità di portare il pubblico dentro un viaggio non prevedibile che può regalare la coreografia, scrittura di quel movimento nello spazio.

 
Ed ecco Gabriel Schenker, rivelazione del 10° Festival Internazionale di Danza Contemporanea della Biennale di Venezia, diretto da Virgilio Sieni. Il suo Pulse Constellations, su Pulse Music III di John McGuire, presentato in prima italiana nelle Sale d’Armi dell’Arsenale è un lavoro che brilla per intelligenza compositiva, affondo formidabile nella relazione tra musica, corpo e movimento, rapporto con lo spazio, sviluppo del gesto.

 
Anni 33, nato a Washington, ma cresciuto a Rio de Janeiro, Schenker da undici anni vive a Bruxelles dove ha messo a fuoco il suo talento alla scuola di formazione P.A.R.T.S. di Anne Teresa De Keersameker, Leone d’Oro dell’anno scorso e ospite alla Biennale questa settimana con il potente Vortex – già recensito mesi fa dal nostro giornale. Da bambino Schenker pratica molti sport, adora il movimento. Suona strumenti e a 14 anni entra in un gruppo di danze folk e sceglie la danza per la vita. A 16 è nel gruppo brasiliano di Deborah Colker, che lascerà dopo qualche anno per trasferirsi in Europa. Dopo il diploma a P.A.R.T.S., l’interesse a 360° per la riflessione su come il movimento possa essere in relazione o non in relazione con l’attività del pensiero lo porta a laurearsi in filosofia con la tesi: Organic Texture: A Dialogue between Deleuze and Guattari, the Life Sciences, and Catherine Malabou, pubblicata poi da Atropos Pr e base del progetto artistico «Moving-Thinking» in cui la danza si confronta con la fenomenologia e le neuroscienze. È tra i cofondatori del collettivo Busy Rocks, e come danzatore ha collaborato in primis con de Keersmaeker e Thomas Hauert.

 
Pulse Constellations è un assolo sorprendente. Pantaloncini grigi e maglietta scura, Schenker concentra l’assolo in un quadrato di spazio, in avanti, al centro sulla scena. Danza e coreografia frontali a partire da Pulse Music III, partitura elettronica del 1978 del compositore americano John McGuire. Merita riportarne le parole sulla composizione del pezzo: «Riprende il tentativo di riprodurre un’immagine aurale, qualcosa non relazionata a strumenti acustici o voci. Riguarda qualcosa che ha a che fare con il movimento, più che con un suono particolare. Il problema è: trovare un modo per riprodurre questo imaged motion, trovare quali suoni lo possano incarnare». Una sfida affascinante per la danza e la coreografia.

 
Schenker così presenta il suo Pulse Constellations: «Tratta un pezzo musicale altamente complesso e stratificato ricostruendo, attraverso il movimento, frammenti delle sue strutture ritmiche e melodiche». Ancora McGuire: «Un suono emerge da un punto distante sulla sinistra, si avvicina, passa l’ascoltatore, e svanisce in un punto equidistante sulla destra, formando un’onda simmetrica».

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Onda che come le altre messe in moto dalla musica, Schenker trasforma in visione con movimenti che si intrecciano, si slanciano, si richiudono, si riaprono dentro e intorno alla musica, rivelando piccoli volumi spaziali vicino al corpo, linee che ci proiettano verso l’alto, il basso, moti in fuga che portano la partitura nello spazio della sala, senza che il danzatore si sposti dal quadrato scelto. Ma non è solo questo. Schenker fa sentire al pubblico l’elaborazione matematica della scrittura della danza e della musica, qualcosa di cui vediamo il farsi, il costruirsi, perché in gioco c’è il corpo dal vivo ma anche il rapporto costante che si percepisce con il pensiero del danzatore. Quel fermarsi ogni tanto, per brevi istanti, senza pur perdere la struttura ritmica, sottolineandola appena, per poi riacchiapparla e rimostrarcela in pieno con un andamento dinamico e gestuale mai prevedibile. Stupefacente.

 
L’assolo è andato in scena illuminato dalla luce delle grandi finestre delle Sale d’Armi dell’Arsenale: i prossimi direttori della Biennale Danza non si dimentichino dei molti luoghi della città trasformati in possibili spazi per la danza da Sieni. Tra i più felici momenti curati dai coreografi ospiti a Venezia per i danzatori del progetto formativo College da citare sono, anche in relazione agli spazi aperti al pubblico, Imaginary Gardens with Real Toads in Them di Annamaria Ajmone al Conservatorio Benedetto Marcello, coreografa italiana di certo talento in scena anche oggi con il suo Tiny Extended, e Collective Jumps di Isabelle Schad e Laurent Goldring per l’originalità del lavoro sul contatto tra i corpi con un gruppo di tredici danzatrici.

 
Sul fronte festival, non decolla l’assolo Back Pack di Francesca Foscarini tra abiti indossati uno sull’altro, corse e abiti ritolti, peccato; festosa e curiosa ricerca sul rapporto possibile tra voce e movimento con il pezzo di gruppo di Daniel Linehan/ Hiatus dbddbb, bizzarra performance new dada molto amata dal pubblico.