A pochi mesi dai festeggiamenti con cui si è ricordato il venticinquennale della riunificazione, la Germania si presenta come paese ospite al Salone del libro di Torino – il cui tema, «Le meraviglie d’Italia», si collega idealmente a quello dell’Expo internazionale di Milano – con circa venticinque autori e oltre quaranta case editrici, fra cui la Wagenbach, che celebra con una mostra i suoi cinquant’anni di attività. Sarà una buona occasione per tentare un bilancio della letteratura tedesca più giovane, e per presentare all’Italia gli ultimi lavori dei suoi consolidati talenti.
Fra questi, Ingo Schulze, che nelle sue diverse opere (tradotte da Mondadori prima e da Feltrinelli poi) torna sulle difficoltà di adattamento dei tedeschi orientali al modello sociale dell’occidente, ricostruendo la parabola esistenziale di individui comuni, le cui certezze sono crollate con il Muro di Berlino: sia nelle sue ventinove Semplici storie (2001) che nei tredici racconti di Bolero berlinese (2007), come pure in Adam e Evelyn (2009) riemergono le ombre della transizione dalla Germania socialista a quella contemporanea, e il tema chiave dello scrittore insistentemente riverbera le stranianti ricadute del crollo della Repubblica democratica tedesca sui suoi ex cittadini.

Esploratori tra passato e futuro
Negli ultimi anni, Schulze ha esteso i confini della sua narrativa oltralpe: lo ha fatto in Angeli e arance (2011) e in Siete giunti a destinazione (2013), libri nei quali offre due pregevoli resoconti di altrettanti viaggi nel sud Italia, condotti sulle orme di fin troppo autorevoli predecessori tedeschi, fra i quali naturalmente Goethe che, ritratto da Tischbein nella campagna romana, campeggia sul manifesto del Salone torinese attorniato dalle eccellenze contemporanee del made in Italy: il cinema, la moda, la cucina, il car styling, la musica e naturalmente i libri.
Espressione del dialogo italo-tedesco, l’opera di Schulze è importante anche per la sua apertura all’ideale goethiano della «letteratura mondiale» e per la predilezione verso il dialogo interculturale e interdisciplinare, al cui appello rispondono un po’ tutti gli scrittori di lingua tedesca presenti al Lingotto. Daniel Kehlmann, per esempio, sarà al Salone con il suo nuovo romanzo F., dopo il successo di La misura del mondo (Feltrinelli, 2006), in cui l’incontro fra il naturalista e viaggiatore Alexander von Humboldt e il matematico e astronomo Karl Friedrich Gauss diventa espressione del dialogo interdisciplinare fra due culture, apparentemente lontanissime, la scienza della natura e quella della letteratura. L’iniziale, che dà il titolo all’ultimo romanzo di Kehlmann, sta per «Fatum», ma indica anche il malvagio protagonista del libro che Arthur Friedland, personaggio principale, sta scrivendo ispirandosi alla riflessione filosofica di Schopenhauer.

Da tutt’altra sponda, Frank Schätzing sarà al Salone come rappresentante di una vena narrativa che si esprime in avvincenti thriller fantascientifici, in particolare Il quinto giorno (Nord, 2005; Teadue, 2007), in cui un esploratore dei tempi moderni, il biologo marino Sigur Johanson, deve affrontare una terribile pandemia che mette a rischio l’umanità; ma molto coinvolgente è anche Limit (Nord, 2010), ambientato sia nello spazio che sulla terra, dove Schätzing affronta in una cornice fantastica i temi scottanti dello scontro ideologico fra Oriente ed Occidente e della lotta fra superpotenze per le risorse ambientali e per le fonti energetiche. A Torino, Schätzing presenterà il suo nuovo lavoro, un thriller geopolitico intitolato Breaking News (Nord), con il quale si è allontanato dal genere fantascientifico per raccontare attraverso il reporter di guerra Tom Hagen l’attuale situazione del Medio Oriente e il ruolo svolto da Israele.

Il corpo del destino
Le giornate torinesi saranno una buona occasione per conoscere il meno noto, ma anche lui pluripremiato, Lutz Seiler, che ha pubblicato in Italia (per Del Vecchio) l’antologia di liriche La domenica pensavo a Dio e un volume di racconti intitolato Il peso del tempo: al Salone presenterà il suo riuscitissimo romanzo d’esordio, Kruso, ambientato nell’estate del 1989 e quindi sul crinale storico fra divisione e riunificazione della Germania, che gli è valso nel 2014 l’ambitissimo «Deutscher Buchpreis», il premio dell’Associazione librai e editori tedeschi.
Tra le scrittrici, Katja Petrowskaja – nata a Kiev nel 1970 e trapiantata a trent’anni a Berlino – è nota per avere raccontato in Forse Esther (Adelphi) gli effetti della Shoah nella sua città natale, mentre Monika Zeiner sarà presente con L’ordine delle stelle sopra Como (Keller), romanzo in cui un melancolico triangolo amoroso si consuma fra Berlino e l’Italia dando luogo a un dialogo interculturale sui temi del destino, della musica e dell’amore. Da un’altra prospettiva, si concentreranno su argomenti analoghi anche le performance poetico-musicali di Dalibor Markovic, artista dello spoken word e del beatboxing, che propone al pubblico i suoi ritmati esperimenti di Slam poetry.
Del resto, la presenza della Germania al Salone non sarà affidata, com’è ovvio, ai soli scrittori, e dunque un po’ tutti gli ambiti culturali esibiranno le loro menti migliori. La sociologia sarà rappresentata da Wolfgang Streeck, che introdotto da Luigi Reitani, Angelo Bolaffi e Jas Gawronski discuterà il suo ultimo lavoro, Tempo guadagnato. La crisi rinviata del capitalismo democratico (Feltrinelli); mentre la filosofia farà scendere in campo Peter Sloterdijk, che con Federico Vercellone presenterà la traduzione italiana della sua opera maggiore, la trilogia di Sfere (Cortina) e da Markus Gabriel, giovane protagonista tedesco del dibattito sul «nuovo realismo», che ripercorrerà con Maurizio Ferraris i cardini del suo ultimo lavoro, Perché non esiste il mondo (Bompiani). Il Salone darà anche l’occasione di incontrare uno dei maggiori egittologi viventi, il fondatore della teoria della «memoria cultuale», Jan Assmann, che terrà una lectio magistralis titolata «Miti d’Egitto e nascita degli dèi».

Dalla sfera del giornalismo arriveranno Günter Wallraff, che nel suo Germania anni dieci (L’orma editore) indaga i quotidiani inferni del precariato nel mondo del lavoro contemporaneo, e l’autore italo-tedesco Giovanni di Lorenzo, direttore del settimanale Die Zeit di Amburgo e coeditore del quotidiano berlinese Der Tagesspiegel, che stasera terrà il discorso di apertura del Salone. La Frankfurter Allgemeine Sonntagszeitung invierà al Lingotto Volker Weidermann, che dialogherà con Luigi Forte sul suo bestseller, L’estate dell’amicizia (Neri Pozza), in cui si racconta dell’incontro a Ostenda nell’estate del 1936 fra Stefan Zweig e Joseph Roth con Hermann Kesten, Egon Erwin Kisch, Ernst Toller, Arthur Koestler e Irmgard Keun, tutti esiliati dal nazismo nella piccola città belga affacciata sul Mare del Nord.

Tra gli esponenti del giornalismo e della narrativa nati negli anni settanta – una generazione ampiamente rappresentata nel palinsesto di «LetteraTorri meravigliose», dove saranno ospitati autori italo-tedeschi – ci sarà Daniel Wagner, di cui Fazi ha tradotto Il corpo della vita, romanzo che ha come protagonista un omonimo dell’autore e dove si racconta il suo percorso di inseguimento del significato della vita nel tempo che precede e che segue il trapianto di fegato cui deve sottoporsi. Della stessa generazione di Wagner, Sebastian Fitzek, definito lo «Stephen King tedesco», porta al Salone torinese il genere del thriller psicologico: il suo bestseller, già tradotto in ventinove lingue, Noah (Einaudi) è la storia di un senzatetto che si ritrova nella Berlino contemporanea senza memoria e che cerca, lungo le pagine del romanzo, di ricostruire il proprio passato, innestando tuttavia una serie di eventi catastrofici. Ancora a Berlino è ambientata la vicenda delle due quattordicenni, Nini e Jameelah, protagoniste di Latte di tigre (Bompiani), scritta da Stefanie de Velasco, nata nel 1978, che nella sua opera affronta tra droga, sesso e alcool la difficile e disincantata vita dei giovani nella periferia della metropoli tedesca.

Tra gli esponenti della generazione anni Settanta, Jennifer Teege – di madre tedesca e di padre nigeriano – dopo avere scoperto di essere nipote del boia del campo di concentramento di Schindler’s List, cerca di giungere a patti con un tanto ingombrante passato nelle pagine del suo romanzo titolato Amon. Mio nonno mi avrebbe ucciso (Piemme), dedicato all’aguzzino Amon Göth.
Autrice fra due culture, quindi testimone del dialogo interculturale che «LetteraTorri» intende promuovere, è anche la più giovane scrittrice presente alla manifestazione, Olga Grjasnowa, nata nel 1983 in Azerbaigian e traferitasi in Germania nel 1996, dopo lunghi soggiorni in Polonia, Russia e Israele: in Tutti i russi amano le betulle (Keller) racconta la storia di Maša, un’esule ebrea azera del nuovo millennio, che nella sua vita incrocia la questione della multiculturalità della Germania contemporanea ai temi della grande storia dei pogrom di Sumgait contro gli armeni e della Shoah.

Infanzie evaporate
Di matrice autobiografica, ma del tutto radicata in Germania, è anche La scomparsa di Philip S. (e/o) di Ulrike Edschmid, artista e scrittrice nata nel 1940 a Berlino, che con questo suo romanzo ci trasporta negli anni di piombo tedeschi, ricostruendo la vita del protagonista, morto durante un conflitto a fuoco con la polizia in un parcheggio di Colonia nel maggio del 1975. Di derivazione autobiografica è pure Quando tutto tornerà a essere come non è mai stato (Marsilio) di Joachim Meyerhoff, in cui lo scrittore racconta la storia dell’infanzia del piccolo Josse, che si svolge fra la casa dei genitori e il manicomio dove lavora suo padre, una storia rievocata grazie alla poetica del ricordo, che si consuma nella struggente aspirazione a un mondo che non tornerà mai più.

Dedicata all’infanzia è anche la presenza al Salone di Nadia Budde, illustratrice berlinese nata nel 1967 che con il suo libro d’esordio, Uno due tre quatto quatto (Salani 2004), ha conquistato il «Premio tedesco per la letteratura per ragazzi». Dello stesso anno, è Isabel Kreitz, autrice di graphic novels, anche lei pluripremiata per avere illustrato libri che hanno tematizzato la cultura giovanile, come Berlino. Itinerari d’autore di Cécile Calla (Edt, 2012), ed eventi storici e politici della Germania, come La scoperta della Carrywurst (Black Velvet, 2007), novella di Uwe Timm, autore purtroppo assente al Salone nonostante la recentissima uscita (da Mondadori) della Volatilità dell’amore. Moltissime, dunque, le chances che il Salone offre – in collaborazione con il Goethe Institut, che nel 2015 festeggia il sessantesimo anniversario della fondazione della sede torinese – di conoscere nuovi autori; e altrettante le opportunità di tornare a ascoltare riferimenti ai classici contemporanei.

Se l’intento del padiglione tedesco è far conoscere attraverso i suoi libri un «paese poco noto» – come dice la lectio magistralis che Claudio Magris terrà giovedì – è scontato il richiamo agli scrittori che hanno fatto grande la letteratura tedesca del secondo Novecento: Günter Grass, da poco scomparso, e naturalmente Uwe Johnson, morto già nel 1984, ma del quale è appena apparsa la traduzione dell’opera prima, La maturità del 1953 (Keller), un classico fin dal suo Congetture su Jakob, gratificato fra l’altro di quella etichetta che lo volle primo, vero «scrittore delle due Germanie», una etichetta che si sarebbe volentieri scollato di dosso.