Tutto è pronto alla sede della Corte penale internazionale dell’Aja, dove domani è prevista la cerimonia di adesione della Palestina. Oggi il ministro degli esteri dell’Autorità nazionale palestinese (Anp), Riad al Malki, terrà in Olanda una conferenza per spiegare gli obiettivi del passo compiuto tre mesi fa dai vertici politici palestinesi tra le forti proteste di Israele, che teme di subire un’indagine per crimini di guerra, e le critiche aperte degli Stati Uniti. Tuttavia la vigilia dell’adesione alla Cpi, sollecitata per anni da intellettuali, attivisti ed esperti legali palestinesi, è segnata dalle indiscrezioni pubblicate ieri dal quotidiano israeliano Jerusalem Post su una presunta rinuncia, da parte dell’Anp, alla richiesta immediata di un’inchiesta della procura internazionale sulla colonizzazione israeliana della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Rinuncia conseguenza di un accordo non scritto, ossia in cambio del trasferimento al governo di Ramallah di centinaia di milioni di dollari palestinesi, frutto della raccolta di tasse e dazi, bloccati da Israele negli ultimi mesi, come ritorsione per l’adesione della Palestina alla Cpi. Voci che hanno provocato sgomento anche perchè giunte nel “Giorno della Terra” che ha visto migliaia di palestinesi in Cisgiordania, a Gaza e in Galilea sfilare nel 39esimo anniversario dell’uccisione da parte della polizia di sei palestinesi di Israele durante le manifestazioni contro le confisca delle terre arabe.

 

«Sono soltanto invenzioni dell’ufficio (del premier) Netanyahu riprese dalla stampa israeliana: non c’è mai stato un accordo del genere. Si tratta di denaro palestinese e Israele non ci sta facendo un favore…Ci aspettiamo che la Corte penale internazionale apra un’inchiesta sugli insediamenti colonici israeliani così come sulla recente guerra di Gaza», ha reagito con stizza la leadership dell’Anp. Parole che non hanno spazzato via tutte le ombre. Anche perchè non pochi si sono insospettiti quando venerdì scorso, all’improvviso, Netanyahu ha deciso di sbloccare i fondi palestinesi, ufficialmente per “motivi umanitari” ed evitare il crollo dell’Anp. Per il Jerusalem Post invece il via libera al trasferimento dei fondi sarebbe avvenuto quando l’Anp ha garantito che, almeno per ora, non chiederà l’incriminazione dello Stato ebraico per la colonizzazione e proseguirà la cooperazione di sicurezza con Israele.

 

Se per un verso le sanzioni economiche decise da Netanyahu contro l’Anp rappresentano un danno anche per gli interessi di Israele – i 130/150 milioni di dollari che Tel Aviv raccoglie mensilmente con tasse e dazi dovuti ai palestinesi, rappresentanto circa due terzi del budget dell’Anp e senza quei fondi non può essere assicurato neanche il coordinamento di sicurezza -, per l’altro è chiaro che l’Anp non ha capacità di resistenza sul lungo periodo alle pressione di Israele. Sono bastati appena tre mesi di blocco dei fondi per mettere in ginocchio la struttura amministrativa palestinese e per vedere scricchiolare le banche in Cisgiordania, che si sono esposte prestando centinaia di milioni di dollari all’Anp senza alcuna garanzia concreta di rivederli nelle loro casseforti.

 

Questa condizione conferma la vulnerabilità dell’Anp mentre si affilano le armi legali per la battaglia alla Cpi che si prevede senza esclusione di colpi. Senza dimenticare che Netanyahu dovrebbe formare un nuovo governo di destra e portare avanti le politiche di occupazione. Le notizie che giungono ogni giorno dalla Cisgiordania sono preoccupanti. L’ultima riferisce che le autorità militari intenderebbero demolire un intero villaggio palestinese, Susya (350 abitanti), a loro dire sorto illegalmente e su terre di “interesse archeologico”. Per l’esercito Susya non ha radici storiche. Una affermazione che fa sorridere se si tiene conto che le colonie israeliane nella zona sono state costruite dopo l’occupazione della Cisgiordania nel 1967 in totale violazione del diritto internazionale. «La decisione dei comandi militari è incredibile», ha commentato l’avvocato Kamar Mishraki-Asad, che rappresenta gli abitanti del villaggio «la terra di Susya è dei palestinesi».