La Grecia ha incrociato le braccia, ieri, contro la riforma del sistema previdenziale. Circa trentamila persone hanno manifestato nel centro di Atene, partecipando alla mobilitazione organizzata dai due maggiori sindacati del pubblico impiego e del settore privato, Gsee e Adedy, con l’appoggio del sindacato dei commercianti, degli artigiani, dei medici e dei farmacisti.

Nel frattempo, continua anche la mobilitazione degli agricoltori, sempre contro l’aumento dei contributi previdenziali e la riforma della tassazione: hanno annunciato che bloccheranno per 24 ore, fino a domani mattina, gli aeroporti, le dogane, i porti e le autostrade di tutto il paese. Le tasse dovrebbero aumentare in modo più evidente dal 2019, arrivando anche al 46% del loro reddito imponibile.

Il governo di Alexis Tsipras cerca di non rompere con i creditori e di garantire, contemporaneamente, la maggior tenuta possibile della coesione sociale. La proposta dell’esecutivo ellenico, per quel che riguarda la riforma previdenziale, nella sua versione più aggiornata prevede, secondo quanto filtrato sulla stampa, l’aumento della contribuzione e una nuova base di calcolo dell’importo pensionistico.
L’aumento dei contributi, in totale, è dell’1% per i datori di lavoro e dello 0,5% per i lavoratori, mentre la tassa sulle operazioni bancarie potrebbe toccare lo 0,1% del totale.

Per quel che riguarda il nuovo metodo di calcolo dell’ammontare pensionistico, il governo si impegna – attraverso un sistema di compensazioni – a non tagliare, in realtà, l’ammontare delle pensioni più basse già erogate, ma è chiaro che per importi oltre i mille euro, la diminuzione dell’assegno dei nuovi pensionati sarà evidente. Tsipras si batte per ridurre questi tagli al minimo possibile, mentre il Fondo Monetario Internazionale arriva a chiedere che le riduzioni delle pensioni raggiungano il 15% della somma percepita. In un paese che negli anni della crisi, dal 2010 in poi, ha subito ben cinque decurtazioni di stipendi e pensioni, è facile comprendere come le pretese dei creditori creino fortissime reazioni avverse.

E proprio questi creditori, nel frattempo, sono ad Atene, per discutere delle riforme in atto. L’incontro con il ministro delle finanze, Efklidis Tsakalotos, e quello dell’economia, Jorgos Stathakis, è durato ben nove ore e la rappresentante dell’Fmi, secondo quanto è filtrato, ha chiesto, come sempre, maggiori tagli alle spese di bilancio e alle pensioni. Più in dettaglio, a non essere accettata, prima di tutto, è l’intenzione del governo di Syriza di concedere una pensione di 384 euro a tutti i cittadini che, all’età di 67 anni, abbiano almeno quindici anni di contributi. Parliamo – è palese – di cifre minime, che non riuscirebbero, molto probabilmente, neanche a garantire le esigenze basilari di un cittadino. Eppure, anche la mera sopravvivenza provoca ancora la reazione dei più ultraliberisti tra i creditori.

I colloqui tra il governo e il quartetto delle istituzioni creditrici (Fondo Monetario, Banca centrale europea, Meccanismo europeo di stabilità e Commissione europea), dovrebbero concludersi a fine mese, sempre che si riesca ad arrivare ad una soluzione che tenga conto della situazione sociale ed economica del paese.

Il premier Alexis Tsipras, nei suoi interventi, insiste sul fatto che «con questo governo non ci sono stati licenziamenti di pubblici dipendenti, non sono stati toccati stipendi e pensioni, sono stati compiuti tutti gli sforzi possibili per proteggere la prima casa di proprietà delle famiglie indebitate. Tutte cose che la destra non avrebbe fatto».

Ma è indubbio che per riuscire a contrastare, in parte, le richieste dei rappresentanti delle istituzioni europee ed internazionali, il governo di Atene ha bisogno di alleanze sempre più forti: e in questa chiave si guarda con interesse a Roma – con tutti i possibili sviluppi dello scontro con Bruxelles sull’austerità – e alla realtà politica spagnola, sperando che si arrivi, quanto prima, a un governo di collaborazione tra Podemos, la sinistra e i socialisti.