I cinghiali e i caprioli arrivano in città. A Genova, a Parma e in tante altre. Se vi è capitato di passare fra i boschi dell’Appennino in questi giorni vi è facile capire perché. Aumentano le macchie di marrone fra gli alberi. Non è il colore dell’autunno. È la siccità che brucia gli alberi e il sottobosco. E gli animali hanno fame e sete. Vengono a cercare cibo ed acqua dove c’è. La linea della desertificazione, quella che spinge verso Nord e Occidente, la gran parte degli uomini delle donne e dei bambini del Sud del mondo, comincia ad arrivare da noi, e mette in fuga gli animali dai boschi inariditi dell’Appennino.

L’idea che sta prendendo ogni giorno più forza è quella di ammazzarli. «Non se ne può più. Investono le automobili, distruggono orti e giardini». Per fare i conti col riscaldamento climatico senza mettere in discussione il nostro stile di vita, le nostre dissennate modalità di consumo, sta sorgendo una nuova umanità, che stermina gli animali in fuga, erige mura per tenere distanti dalle nostre terre gli esseri umani in fuga dalla fame.

È orribile, ma se non decideremo e ci organizzeremo, noi dei Paesi ricchi, per diventare più poveri, per ridurre il nostro consumo di terra e di energia, questa deriva diventerà inevitabile. Essere più poveri non significa la miseria. Anzi credo che decidere di diventare più poveri e più uguali è la strada per sconfiggere la miseria anche qui da noi. Una delle frasi più orribile che segnano la crisi irreversibile della sinistra è quella che ha accomunato per un po’ di tempo Blair, Clinton, Veltroni e tanti altri: «Il problema non sono i ricchi, il problema sono i poveri. Sostenere la ricchezza innalzerà prima o poi il livello di vita di tutti». Una prospettiva dissennata, sia da un punto di vista umano che ambientale. Che si faceva vanto di sostenere il lusso e lo spreco, e insegnava ai poveri a sognare i sogni dei ricchi, a ricercare nei consumi la propria identità, il senso della vita.

Superare la miseria nel mondo di oggi non può avvenire solo con la pur necessaria redistribuzione del reddito. Si diventa più uguali tagliando le unghie ai patrimoni e ai consumi dei ricchi, estendendo il più possibile i beni di tutti, la cultura, l’istruzione, il paesaggio, la terra, riportando le cose al valore d’uso, a quello che serve per vivere bene nel rispetto della natura e degli altri esseri viventi.

Le persone migliori che ho incontrato nella vita erano povere. Operai fieri di vivere del proprio lavoro, in lotta perché il salario fosse sufficiente per un vita degna, a difesa del contratto, di scuola e sanità gratuita, poco amanti degli straordinari, perché un po’ di consumi in più non valeva il prezzo di consegnare ai padroni un tempo ancora più grande della propria vita, magari togliendo una opportunità di lavoro a qualcun altro. Come poveri sono i giovani istruiti di oggi, che vivono al di sotto dei mille euro al mese, e magari vorrebbero guadagnarne di più ed essere certi di averli tutti i mesi, ma intanto inventano nuove modalità di consumo sostenibile. E poveri sono gli abitanti dei tanti posti del mondo che difendono le loro terre dalla distruzione ad opera dei cercatori di combustibili fossili e di materie prime, che stanno distruggendo la possibilità di vivere del proprio lavoro sulla propria terra, e che, prima ancora del loro diritto a muoversi rivendicano il loro diritto a restare attaccati alle loro radici, che è poi la condizione per potersi muovere liberamente. Che significa partire da luoghi in cui è possibile tornare.

E si sono fatti poveri, in nome di carità e giustizia, le persone migliori del secolo che ci sta alle spalle, da Simon Weill a Don Lorenzo Milani a Danilo Dolci, per strappare alla miseria quelli più poveri di loro.

Povertà e miseria sono purtroppo diventati sinonimi. Eppure non è stato sempre così. Paolo Nori, in un suo libro o forse in molti, perché Paolo Nori applica anche alla letteratura la nobile arte del riciclo, ci racconta di una anziana signora di Parma che diceva che in casa sua c’era tanta miseria, che quando sono diventati poveri hanno fatto una festa.