Processi, ingiurie, pestaggi e delazioni, e ora persino un omicidio. Capita un po’ di tutto in questa torrida estate, a Baku, capitale dell’Azerbaigian, repubblica nata fra la Russia e l’Iran dopo la fine dell’Urss. Ultimo fatto rilevante in ordine di tempo, il caso del giornalista Rasim Aliyev, che del presidente Ilham Aliyev porta per caso lo stesso cognome, ma cui è toccata una sorte ben diversa.

Un vero e proprio linciaggio, in cui il fatto di cronaca si lega strettamente al clima politico di odio che si respira in questi mesi a Baku. Un clima che ha prodotto, ad esempio, sempre in questi giorni, una lettera rivolta al presidente da una ventina di familiari per accusare e ripudiare il direttore esecutivo di Meydan TV, Emin Milli. A scatenare la violenza contro il giornalista Aliyev sarebbe stato un post su Facebook in cui criticava un calciatore della nazionale, Cavid Huseynov, per aver sventolato una bandiera turca durante una partita di Europa League giocata contro una squadra di Cipro.

Una provocazione, cui ne era seguita un’altra più grave: a un giornalista greco che aveva chiesto al giocatore conto dell’episodio, questi aveva risposto con un gesto osceno. «Non voglio che qualcuno di così immorale, sfacciato e incapace di controllarsi mi rappresenti nei campi di calcio europei», aveva commentato il giornalista su internet. Come ha raccontato Aliyev stesso in un’intervista rilasciata poco prima del suo decesso, a ciò era seguita una telefonata di un cugino di Huseynov, che l’aveva insultato gridando. Subito dopo, una nuova telefonata dalla stessa persona, ma con modi completamente diversi. Si scusava dell’accaduto e chiedeva un incontro insieme al giocatore stesso per risolvere la faccenda di fronte a una tazza di tè. Una trappola.

Sceso dalla macchina, Aliyev è stato infatti pestato a sangue da sei persone. A nulla è poi servito il ricovero ospedaliero. Anzi, secondo quanto dichiarato dalla ragazza del giornalista, si è deliberatamente evitato di curarlo per tempo, provocandone la morte. Il caso segue anni di minacce e ingiurie subiti dal giornalista per il suo atteggiamento critico nei confronti del regime. E ora la star del calcio nazionale Huseynov è stato arrestato insieme ad altre cinque persone. Un evento drammatico che rende bene il clima del paese.

Fra soprusi e violenze, ciò che ha luogo oggi in Azerbaigian è il monologo di un potere che, più passa il tempo, più va perdendo contatto con il reale. Lusso e spese sfrenate per «modernizzare» il paese, ma anche disuguaglianze lampanti e un sistema di corruzione che, con la complicità di compagnie e governi in Europa e altrove, sta andando semplicemente fuori controllo.

Da tempo è in atto una caccia alle streghe che ha come obiettivo principale giornalisti e attivisti. Il loro unico peccato, quello di essersi opposti ai loschi affari della famiglia Aliyev, che regge il potere – e le risorse energetiche del paese caucasico – dal lontano 1993.

L’Azerbaigian naviga su un mare di gas e petrolio. Una cosa che ci riguarda da vicino, dato che dopo la crisi ucraina il paese è divenuto il primo fornitore di petrolio dell’Italia, prendendo il posto della Russia.

E già si punta a espandere: il gas di Baku è l’obiettivo del progetto del Gasdotto Trans-Adriatico, meglio noto come Tap, che dovrebbe approdare in Puglia con danni ambientali ingenti. Un progetto definito dal premier Renzi «uno dei risultati più rilevanti del governo». In realtà, oltre all’inquinamento delle nostre coste, l’operazione costerà 250 milioni di dollari in prestiti dalla Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo. Un regalo, fra i tanti, a un regime che ha nelle sue carceri un numero di prigionieri politici che è quasi il doppio di quelli di Russia e Bielorussia messi insieme.

Fra le numerose aziende italiane che hanno messo lo zampino nell’affare-Azerbagian – di cui l’Italia è il primo partner commerciale al mondo – anche la Saipem, Hacking Team e Finmeccanica.

E a Baku la repressione non si placa. Sono in corso in questi giorni alcuni dei processi più importanti contro chi ha osato opporsi al potere degli Aliyev. Come quello contro l’attivista dei diritti umani Leyla Yunus e suo marito, lo storico Arif Yunus, che rischiano rispettivamente undici e nove anni di prigione.

La salute della donna, come dichiarato dalla figlia, è in condizioni pessime a causa del diabete e dell’epatite C di cui soffre, e durante l’udienza del 3 agosto ha perso i sensi di fronte alla corte.

Fra tutti, il processo più celebre è quello che vede implicata la giornalista investigativa Khadija Ismayilova, rea di aver denunciato la commistione fraudolenta fra pubblico e privato: appalti e privatizzazioni finiti in mano alle imprese di famiglia del presidente.

Su di lei pendono accuse inverosimili quali la diffamazione, l’evasione fiscale, i traffici illegali e l’abuso di potere. Oltre a questi, le si imputa persino un’istigazione al suicidio nei confronti di un collega. Sebbene questi, nel frattempo, abbia ritirato l’accusa.