La nebbia sulle intercettazioni fantasma non si dirada, ma la vicenda siciliana precipita verso un finale. Il governatore Crocetta, da tre giorni trincerato in solitudine per decidere se mollare o andare avanti, ieri è crollato e ha aperto le dighe. È successo dopo la cerimonia di commemorazione della strage di via D’Amelio, che si è svolta ieri mattina nell’aula magna del palazzo di Giustizia di Palermo. Dove la famiglia Borsellino ha fatto sapere di non gradire la presenza del governatore. E dove Manfredi, il figlio del giudice ucciso dalla mafia, ha usato toni duri e dolorosi parlando della sorella ex assessora alla sanità della regione. «Lucia ha portato una croce, è rimasta assessore fino al 30 giugno», dice. «Non so con quale forza ha tollerato. Per amore della giustizia, per suo padre, per potere spalancare agli inquirenti le porte della sanità dove si annidano mafia e malaffare. Da oltre un anno era consapevole del clima di ostilità e delle offese che le venivano rivolte». Il discorso del figlio di Borsellino, a sua volta commissario di polizia a Cefalù, di fronte ai moltissimi fra rappresentanti istituzionali e magistrati e cittadini presenti nell’anniversario numero 23, il più triste e velenoso, è un fuori programma. Lui, come le sorelle, non doveva esserci. O comunque, come le altre volte, non doveva parlare. Ma a chiederglielo è il presidente Sergio Mattarella che lo incontra in privato in mattinata. Lucia infatti non c’è. Insieme a Fiammetta è a Pantelleria, ricorderanno il padre in privato, in una chiesina di contrada.

A Palermo invece le parole di Manfredi, rivolte al prefetto Alessando Pansa, presente nell’aula, sono composte e per questo ancora più strazianti: «Oggi io dovrei chiederle di essere destinato altrove, lontano da questa terra. Ma non solo non lo chiedo, ribadisco con forza che ho il dovere di rimanere qui: lo devo a mio padre ma ora più che mai lo devo soprattutto a mia sorella Lucia».

Da casa sua, Crocetta, quando apprende di queste parole, esplode al telefono con l’agenzia Ansa: «Se qualcuno mi chiede di espiare una colpa che non ho, lo farò; se qualcuno vuole che insozzi la mia vita per quella colpa, lo farò; se qualcuno vuole la mia vita per riparare a quella colpa che non ho, io la darò. Tutto accetterò tranne che morire come un pezzo di merda in un letto». Poi racconta di aver sempre difeso Lucia Borsellino e rivela che «poteri forti volevano farla saltare sul caso della piccola Nicole, per poi far saltare me». È un fiume in piena: riferisce che fu l’ex manager di Villa Sofia Sampieri, intercettato dagli investigatori al telefono con Matteo Tutino, a rivelargli l’episodio. «Sampieri fu nominato manager di Villa Sofia, avendo il punteggio più alto tra i candidati; poi quando ricevette l’avviso di garanzia, gli telefonai lo stesso giorno chiedendogli di dimettersi e lo fece. Dopo due anni ci fu una circostanza che riabilitò Sampieri ai miei occhi: fu il caso della piccola Nicole (la neonata morta nel febbraio 2015, ndr). In quei giorni mi chiamò Tutino, dicendomi che Sampieri doveva dirmi cose importanti», continua Crocetta. «Andai nel suo studio: Sampieri mi disse che ambienti politici siciliani erano in grado di farlo inserire nella commissione del ministero della Sanità sul caso Nicole. Chiesi a Sampieri di non prestarsi a questo sciacallaggio e chiamai Lucia Borsellino (all’epoca assessora, ndr), che sentì quella storia con le sue orecchie». Per Crocetta è la prova che i poteri forti volevano far saltare Borsellino e lui. «Non ho mai lasciato sola Lucia Borsellino, la sua sofferenza e il suo calvario sono stati anche miei».

È un nuovo colpo di scena. Presto ne arriverà un altro. Fin qui la Sicilia resta appesa alla decisione di Crocetta, se restare o mollare, che ormai dovrebbe arrivare a ore. Anche perché l’«autosospensione» annunciata dal governatore è solo un gesto simbolico. Il Pd regionale, attraverso il segretario Fausto Raciti, preso atto della smentita della procura di Palermo non ne chiede le dimissioni. Eppure la crepa, da sempre grande fra il partito e lui, ogni ora si allarga. Il deputato regionale Fabrizio Ferrandelli, che dieci giorni fa aveva proposto una mozione di sfiducia contro Crocetta, annuncia le dimissioni dall’Ars: «Non mi hanno ascoltato. Anzi Raciti ha sentenziato che la legislatura deve continuare e Crocetta, invece di dimettersi, si autosospende, utilizzando un istituto fantasma. Io sono coerente: voglio dimettermi». Anche dal Pd nazionale, da dove in un primo momento era arrivata la richiesta di dimissioni, i toni si fanno appena più concilianti: «La situazione è inquietante e va approfondita per riportare il dibattito politico sul piano della trasparenza», dice Lorenzo Guerini.

Ma sul mistero dell’intercettazione pubblicata dall’Espresso ancora si brancola nel buio. «La famiglia Borsellino merita delle risposte e le avrà», dice il procuratore di Palermo Francesco Lo Voi a margine delle commemorazioni della strage. E spiega ancora la ’sua’ smentita allo ’scoop’ del settimanale: «Questa intercettazione alla procura di Palermo non risulta e quindi non c’è. E se circola la tesi che possa essere in un’altra procura perché allora insistere a dire che l’intercettazione si trova a Palermo? Perché insistere sul filone Villa Sofia, gli atti secretati? Qui non c’è». Quindi qualcun altro nel 2013 indagava su Tutino e lo ’ascoltava’? Oppure, come ipotizza l’ex pm Ingroia «il giornalista è stato vittima inconsapevole di una fonte inquinata che aveva un suo obiettivo?». «Io credo a Lo Voi», dice il ministro dell’interno Alfano, «ma se ci sono altri magistrati che sono in possesso dell’intercettazione tra Crocetta e Tutino, la cui esistenza è stata smentita dalla procura di Palermo, che lo dicano».