Alle undici del mattino nella sala del Nazareno si schierano cinque facce pallide, occhiaie scavate: i due vice di Renzi Serracchiani e Guerini, i due capigruppo Zanda e Rosato (quest’ultimo per ora è facente funzioni) e il presidente Orfini. Renzi non c’è: è volato a Herat, in Afghanistan, a celebrare la festa della Repubblica con i soldati italiani.

renzi afghanistan herat 1 giugno 2015 foto ufficio stampa palazzo chigi

Circolano le sue foto in mimetica e jeans: a sorpresa – «per ovvi motivi di sicurezza» – ha messo più di 5mila chilometri fra lui, il pasticcio delle regionali e le facce dei perdenti. Come quelle dei cinque solitari dirigenti che invece si consegnano alle telecamere.

Stavolta niente foto-opportunity del gruppone allegro delle europee, e dire che era appena un anno fa. Serracchiani espone la tesi della «vittoria chiara e netta che ci fa essere soddisfatti del lavoro fatto in questi mesi e ci colloca nella prospettiva del 2018 ancora più determinati». In effetti di voto anticipato non parla più nessuno. Con ’lui’ si vince sempre: «Da quando c’è la segreteria Renzi abbiamo riconquistato molte regioni dal centrodestra, ora chiudiamo con un netto 5 a 2 che significa 10 a 2 per il centrosinistra».

Ma se la vittoria è così netta, perché queste facce? Brucia la sconfitta ligure, ammette Orfini, «figlia di una sinistra irresponsabile che oggi festeggia la vittoria della destra». Orfini non ce l’ha con Pastorino&Civati, ormai fuori dal Pd e quindi fuori dalla sua giurisdizione.

Ce l’ha per esempio con Stefano Fassina che se avesse votato in Liguria avrebbe – ha detto – votato Pastorino. E con Rosy Bindi, la presidente dell’antimafia, che a urne ancora aperte Serracchiani ha accusato di aver fatto «un’operazione di strumentalizzazione scientifica»: ma il formidabile risultato del candidato De Luca oggi consiglierebbe piuttosto di inviarle un mazzo di fiori. Lunedì sarà convocata la direzione del partito. Lì, avverte Orfini, «inizieremo un confronto». Ma stavolta non si tratterà della solita discussione. «Bisogna trovare un modus vivendi perché andare avanti così non è normale».

Non è la prima volta che il presidente fa una proposta del genere. Stavolta però, per la prima volta dall’elezione a segretario, Renzi ha una battuta d’arresto.

[do action=”citazione”]La maggioranza renziana è tentata dal «processo» ai dissidenti.[/do]

Ma al di là della propaganda sulla «vittoria chiara e netta», il crollo dei voti del Pd è oggettivo e quindi argomento sconsigliato per una discussione in diretta streaming. «I numeri dicono che abbiamo perso 600 mila voti rispetto alle regionali del 2010 e oltre la metà dei voti rispetto alle europee del 2014», attacca Fassina, «mi aspetterei nelle prossime ore un’analisi seria, la capacità di riconoscere l’errore e di non mettere la testa sotto la sabbia. In Veneto abbiamo fatto il risultato peggiore di tutti i tempi, così in Umbria e in Toscana dove pure abbiamo vinto. I nostri elettori sono ormai spaesati».

In Umbria Catiuscia Marini ha perso 15 punti rispetto a 5 anni fa, in Toscana Rossi ne ha persi dieci. Ma il dato su cui battono i dissenzienti è la Liguria: qui alle europee dell’anno scorso il Pd ha preso il 41,7 e 323.728 voti. Domenica Raffaella Paita ha portato a casa uno scarso 27,8 che corrisponde a 183.272 voti.

«Renzi ci ha sempre accusato di voler tornare al Pd del 25 per cento, quello di Bersani», ragiona Alfredo D’Attorre, altro deputato dato in uscita, «invece stavolta il suo Pd ha preso anche meno. Assistiamo a un’emorragia a sinistra senza neanche le vagheggiate new entry da destra. Spero che Renzi si faccia qualche domande sulle sue politiche. E se non se le fa è perché ormai vive in un videogioco».

L’allusione è alla foto fatta circolare dal portavoce del premier Filippo Sensi, ’Nomfup’ sui social, lanotte dello spoglio: quella con Renzi e Orfini che giocano alla playstation, in una posa ispirata a una scena di House of cards.

house-of-cards-playstation

D’Attorre non teme il processo, anzi passa già al contrattacco: «Chiedo una verifica democratica delle scelte politiche che hanno portato a questi risultati. Diamo la possibilità al nostro popolo di esprimersi».

E se D’Attorre e Fassina sono solo l’ala dura – e solitaria – della «resistenza» della sinistra Pd, Renzi sa che quasi tutta l’opposizione interna aspettava il suo primo inciampo per riprendere fiato.

Al senato darà battaglia sul ddl scuola che da domani sarà già al voto della commissione cultura. Alla camera il rinnovo del capogruppo, dopo le dimissioni di Speranza, sarà un altro passaggio delicato.

Il franceschinian-renziano Ettore Rosato, oggi facente funzioni, non gode di ampie simpatietra i colleghi. D’altro canto se la scelta cadesse su un nome della minoranza ’dialogante’, i dissenzienti la prenderebbero come un premio per il sì alla legge sulla scuola: sarebbe una provocazione. Per di più il voto sul capogruppo è segreto.

La road map della sinistra Pd da adesso in poi incrocerà quella della sinistra fuori dal Pd.

Oggi, in occasione della festa della Repubblica, Pippo Civati rivolgerà un appello per organizzare la start up della nuova cosa, soprattutto a partire dai territori. Già fine giugno, probabilmente il 21, ci sarà a Roma il primo appuntamento di avvio.

Nella sinistra-sinistra il voto è stato molto eloquente.

Massimiliano Smeriglio, capo dell’organizzazione di Sel e numero due di Zingaretti nel Lazio, passa in rassegna il risultato: in Liguria, in Toscana e in Puglia la sinistra elegge. Nelle Marche, in Veneto e in Campania no: «Andiamo bene dove c’è un insediamento territoriale e dove c’è contesa sull’elettorato del defunto centro sinistra con una proposta innovativa», così se lo spiega. «Quando ci sono chiusure minoritarie invece andiamo male. Dobbiamo partire subito verso il nuovo soggetto: una rete che non potrà prescindere dai territori e dai risultati».