«Abbiamo passato vent’anni a fantasticare di come sarebbe stato il terzo millennio: le invenzioni, i robot, le malattie sconfitte, Marte colonizzato come se fosse un’isoletta esotica, la democrazia planetaria, la fine della Storia, l’arte come una sorta di infatuazione infantile, come quando i ragazzi fanno progetti per il tempo in cui saranno grandi. Ed eccolo, invece, il terzo millennio, è arrivato come forse mai nessun secolo arrivò così pieno di avvenire». E il suo nome è quello della Grande Migrazione che «forse cambierà il mondo, ma quando ce ne accorgeremo sarà già in noi. Sarà già in noi il popolo nuovo».

Domenico Quirico non è soltanto uno dei più noti e stimati reporter italiani, un profondo conoscitore della realtà africana come di quella del Medio Oriente, un raffinato indagatore dell’animo umano che da tempo ha oltrepassato il confine, talvolta sempre più sottile, che separa il giornalismo dalla narrativa. Il cronista piemontese è anche un testimone, una di quelle voci in grado di segnalare per tempo un cambio d’epoca, uno scarto dalla realtà ordinaria capace di svolte storiche destinate a segnare in modo indelebile il futuro. Un talento che forse, oltre che alla lunghissima esperienza maturata sul campo, e sui numerosi fronti delle altrettanto numerose guerre che si combattono sulla sponda sud del Mediterraneo, Quirico deve alla capacità di provare la medesima empatia che suscitano le tragedie di massa, anche verso le sofferenze patite da un solo essere umano. Un radar emotivo che gli consente di leggere dentro i grandi eventi della Storia quasi si trattasse di vicende private: con la stessa attenzione e con le medesime precauzioni che si prendono nei confronti di quanti hanno già troppo sofferto.

Così, dopo aver indagato negli ultimi anni le alterne vicende mediorientali con Primavera araba (Bollati Boringhieri), prima e Il Grande Califfato (Neri Pozza), poi, Quirico concentra ora la propria attenzione sulle migrazioni destinate a cambiare il volto del pianeta. Esodo, uscito per i tipi di Neri Pozza (pp. 176, euro 16,00) giusto alla vigilia del Salone di Torino, dove sarà presentato dall’autore, insieme a Giuseppe Russo, domani alle ore 13.30 presso la Sala Blu del Lingotto, è però molto più di un semplice reportage d’attualità. Lo si potrebbe definire una cronaca dal centro del mondo che verrà, tali sono le implicazioni e i cambiamenti che la migrazione in corso è destinata a portare con sé, e questo sia nei paesi di partenza che in quelli indicati come destinazione.

Anche se il primo cambiamento, segnala Quirico, riguarda il modo stesso in cui una tale vicenda, e soprattutto i suoi protagonisti, possono e devono essere raccontati. «Quando si scrive di loro è impossibile ignorarne stato civile, mestiere, geografia. La Grande Migrazione comporta un mutamento obbligatorio di vita per il cronista, ma anche per il narratore, il sociologo o l’analista, che devono avventurarsi non più solo con la testa, ma con il corpo», spiega il giornalista che ha condiviso con i migranti un viaggio disperato dalle coste africane su di un barcone infine affondato al largo di Lampedusa.

L’itinerario della ricerca parte per molti versi dai luoghi già esplorati di recente dall’autore, vale a dire laddove le promesse non mantenute delle annunciate primavere di libertà e democrazia dei paesi arabi, il perdurare di guerre sanguinose e di povertà altrettanto endemiche, la minaccia del sedicente Stato Islamico hanno reso le condizioni di vita insopportabili e il bisogno di partire non più procastinabile. Sono quelle parti intere di mondo, «squarci sterminati di Africa e Medio Oriente» che si svuotano così progressivamente «di uomini, di rumori, di vita».

Da qui, insieme ai candidati al viaggio, Quirico si mette in cammino, ripercorre con loro le rotte verso l’Europa, gli itinerari della speranza e del sogno di una vita diversa che sempre più spesso si infrangono contro i muri, i recinti, le gabbie per esseri umani di Melilla, Sangatte, Calais, dell’Ungheria come della Macedonia. L’esodo si conclude nel Vecchio continente dove «file di uomini sbarcano da navi che sono già relitti o cercano di sfondare muri improvvisati, camminano, scalano montagne, hanno mappe che sono messaggi di parenti o amici che già vivono in quella che ai loro occhi è la meta agognata». Un processo che si ripete circolare, senza interruzione. Chi appare sconfitto è in realtà già pronto a riprovarci.

In gioco non c’è soltanto il tramonto dell’Europa, che si fa «fiore carnivoro» di fronte ai migranti, ma un futuro comune, un orizzonte che, comunque vada questo viaggio ora, sembrano dire coloro il cui destino è incrociato dal reporter, non sarà mai più come prima, per chi nelle nostre città ci è cresciuto e per chi già ci si vede di qui a pochi anni, mesi, giorni. Per Domenico Quirico non ci sono dubbi al riguardo. «Abitanti di un mondo in declino, trepidiamo soltanto per la nostra ricchezza, proprio come i popoli vecchi, le civiltà al tramonto. E non ci accorgiamo che nelle nostre tiepide città, in cui coltiviamo la nostra artificiale solitudine, vi sono già alveari ronzanti, di rumore e di colore, di preghiera e furore. Il mondo di domani».