Compie 20 anni ma non mostra alcuna irrequietezza adolescenziale. Il programma di questa edizione di Festivaletteteratura di Mantova, che si apre domani per concludersi domenica 11 settembre, ha piuttosto un andamento solido e maturo – come del resto era nelle intenzioni del comitato organizzatore che ogni anno propone un’edizione di ragguardevole rilievo.
Con i suoi 300 appuntamenti tra incontri, laboratori, proiezioni e rappresentazioni, Mantova si trasforma come di consueto in una biblioteca a cielo aperto, con la sua agorà disseminata tra Palazzo Ducale e quello di San Sebastiano fino ad arrivare al teatro Bibiena e al cinema Oberdon, le piazze Mantegna e Leon Battista Alberti fino alle aule universitarie, saranno moltissimi i luoghi dedicati alle pubbliche letture, gli ospiti d’eccezione e gli ormai noti appuntamenti.

Granai viventi

Al crocevia delle strade del sapere, la scelta di «Una città in libri» viene a ricadere quest’anno su Alessandria D’Egitto e la biblioteca straordinaria che ha fatto da ponte tra la cultura cristiana e quella araba. L’apertura al tema delle biblioteche, che a Mantova hanno sempre avuto un ruolo centrale, anche in questa edizione appare in maniera sia esplicita che trasversale. E se una città-biblioteca è parte di quell’antidoto, critico e politico, contro le divisioni, le storture retoriche e mediatiche contemporanee, i famosi «granai del sapere» di cui parlava Marguerite Yourcenar diventano a Mantova luoghi fisici (il sistema bibliotecario provinciale, la «biblioteca elegante» concentrata sulla moda nella letteratura italiana tra ’800 e ’900 che metterà a disposizione più di 300 volumi) e narrativi. Dall’olandese Cees Nooteboom che con il suo Tumbas (Iperborea) aveva già spiegato il gesto definitivo di incontrare chi lo ha preceduto e che ora presenta la raccolta poetica Luce ovunque (Einaudi), al libanese Amin Maalouf in Italia per discutere il suo poderoso Una poltrona sulla Senna (La nave di Teseo) sulla storia di 400 anni dell’Accademia di Francia fino all’argentino Alan Pauls che nel suo Il fattore Borges (Sur, recensito da Francesca Lazzarato sul manifesto dell’11 giugno) costruisce e dipana una memoria attraverso la sistemazione della prosa letteraria.

Di reperti della propria e soggettiva immaginazione riferisce invece Jonathan Safran Foer che sabato scorso insieme a Marcello Fois ha presentato, in una sorta di inaugurazione del festival, Eccomi (Guanda). Intervistato da Silvia Albertazzi (Alias del 4 settembre) ne descrive i prodromi, raccontando lo scacco delle relazioni, l’incomunicabilità dello sprofondo a cui si arriva a un certo punto.
È un’oscura presenza quella della fragilità ingovernabile che, per strade più speculative, visita il filosofo spagnolo Santiago López Petit autore di un libro tanto singolare quanto interessante: Figli della notte. La sfida del voler vivere (Moretti&Vitali, introdotto da Gianluca Solla verrà presentato domani alle 15 nella chiesa di Santa Maria della Vittoria). Un bivio storico e autobiografico nella scoperta della propria malattia diagnosticata come «fatica cronica». Di conflitti nella scoperta del proprio corpo malato e di una relazionalità che sostiene il proprio stare nel mondo racconta in versi anche Jo Shapcott in una silloge edita da Del Vecchio dal titolo emblematico Della mutabilità (che sabato verrà presentata dalla sua traduttrice, Paola Splendore, nella chiesa di San Barnaba); così anche l’antropologa Clara Gallini per discutere il suo Incidenti di percorso (nottetempo). Forse allora bisognerebbe rivolgere maggiore cura a quella che Antonio Prete chiama grammatica dell’interiorità e che fa da sottotiolo al suo ultimo, splendido, libro Il cielo nascosto (Bollati Boringhieri), una mappa critica dell’idea di interiorità che attraversa letteratura, filosofia e arte (ne parlerà venerdì 8, nel cortile di Palazzo d’Arco insieme a Massimo Raffaeli).

Esperienze ambivalenti

Alcune tra le più interessanti serate monografiche riguardano le vite e i saperi delle donne, in forma di omaggio come nel caso di Antonia Arslan che se l’anno scorso ha dedicato un focus alle liriche del ‘500, quest’anno insiste su alcune scritture rinascimentali. Ci sarà spazio anche per Sara Copio Sullam, (1592/1641) direttamente dal Ghetto di Venezia. E ancora si discuterà dello scambio epistolare tra Cristina di Lorena e Caterina de’ Medici. Infine altri due omaggi: a Natalia Ginzburg, di cui quest’anno ricorrono i 100 anni dalla nascita e che Einaudi ha festeggiato con la pubblicazione del suo Un’assenza. Racconti, memorie, cronache 1933-1988 (a cura di Domenico Scarpa). Ma anche a Nelly Sachs, poeta straordinaria dell’esilio.

Notevole la parte dedicata alla maternità che è tuttavia trattata come il campo di desideri ambivalenti e ingombranti intrecciati con l’obbligo famigliare (Elvira Seminara, Gaia Manzini e Julia Pierpont). Anche le giovani scrittrici si interrogano sulla maternità, il caso è della vietnamita Linda Lê e della irlandese Louise O’Neill che, attraverso il romanzo distopico Solo per sempre tua (edito da Hot Spot), dipinge il sistema coercitivo in cui alcune ragazze vivono la rappresentazione della propria crescita (ne parla con Michela Murgia sabato alla Casa del Mantegna).
Di tutt’altro tenore è invece il romanzo di Jami Attenberg, Santa Mazie (Giuntina) che racconta l’autobiografia immaginaria di una straordinaria figura come quella di Mazie Phillips, l’esorbitante regina della Bowery che tra gli anni ’50 e ’60 di giorno lavorava in un cinema e di notte andava per strada ad ascoltare e aiutare i senzatetto. Una cartografia passionale che, spostandosi su ulteriori figure eccentriche, si può ascoltare dal vivo nel gran finale di domenica 11 con i formidabili ritratti consegnati da Edna O’Brien nel suo Oggetto d’amore (Einaudi).

Andare e tornare

Quando la scrittura è quella dell’esperienza, non solo i confini interiori ma anche quelli stretti, di terra e mare, possono essere scardinati a favore di ponti e ulteriori sporgenze critiche. Per dirla con Gloria Anzaldua che in Borderlands/La Frontera aveva dedicato già alla fine degli anni ’80 pagine mirabili sui rischi dell’isolamento e della violenza del confine, quest’anno Mantova si interrogherà sul senso della migrazione, della violenza prodotta da confini che sono ostacoli alla convivenza. Come quelli raccontati della scrittrice tedesca Jenny Erpenbeck che nel suo Voce del verbo andare (Sellerio) sceglie come protagonisti degli africani che sbarcano a Lampedusa. Oppure i confini in cui si consumano guerre, efferate e silenziose, come capita tra Stati Uniti e Messico nelle parole di Paco Ignacio Taibo II nel suo A quattro mani (La Nuova Frontiera). Lo scrittore albanese Gazmend Kapllani, che nel 1991 dall’Albania si sposta a piedi con altri migranti per raggiungere la Grecia e che da 4 anni vive negli Stati Uniti, nel suo Breve diario di frontiera (Del Vecchio) si confronta con il significato di varcare i confini per immaginare un futuro più dignitoso (incontrerà Alessandro Leogrande, autore di La frontiera, edito da Feltrinelli, domani alle 15,30 nel cortile del Palazzo Ducale). Sono molti, tra scrittori e scrittrici, che hanno fatto i conti con la migrazione, con la fuga disperata per scampare alla guerra e il senso profondo dell’esilio. È accaduto anche a Tsegehans Weldeslassie che ha raccontato a Erminia Dell’Oro la condizione dell’Eritrea nel libro Il mare davanti (Piemme); oppure Elvira Mujcic che in Dieci prugne ai fascisti (Elliot) racconta il paese da cui è dovuta scappare, la Bosnia.

Ha fatto molto discutere il romanzo Borderlife (Longanesi) di Dorit Rabinyan che racconta a proposito di una storia d’amore tra un’israeliana e un palestinese; il risultato quasi immediato è stato la censura dal programma del Ministero dell’istruzione israeliano con la conseguente sollevazione da parte del mondo letterario vicino all’autrice. Chi non ha invece voluto lasciare il proprio paese per ritrovarsi profugo è stato il compositore russo Dmitrij Šostakovic di cui lo scrittore inglese Julian Barnes, tra gli ospiti più attesi del Festival, racconta la vicenda nel suo, da oggi in libreria per Einaudi, Il rumore del tempo (recensito da Francesca Borrelli in Alias del 4 settembre) verrà presentato a Mantova sabato con Peter Florence a Palazzo San Sebastiano. Del tempo traumatico si occupa anche Lydie Salvayre, figlia di rifugiati spagnoli che arrivano in Francia dopo la guerra civile; Non piangere (L’asino d’oro) si misura proprio con il ricordo di quel 1936 che ha segnato la sua vita e quella della sua famiglia. Attraverso la doppia voce di sua madre Montse e di Georges Bernanos di Grandi cimiteri sotto la luna, Salvayre fa i conti con una memoria che ha trasformato per sempre il proprio sguardo sul mondo e il linguaggio in cui si esprime.

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YOUNG READERS. Dal «Libro selvaggio» di Juan Villoro all’Argentina di Maria Teresa Andruetto

Diversi anche gli incontri con autrici e autori per i lettori più giovani. Fra le presenze a Mantova, spicca quella della scrittrice argentina Maria Teresa Andruetto (sarà in dialogo con Bianca Pitzorno, giovedì 8, ore 16.30 al Teatro Bibiena e il giorno dopo, alle 15.15, presso Palazzo del Mago con Janna Carioli, per raccontare i personaggi dei suoi romanzi). Memoria privata e collettiva (dal quotidiano alla dittatura) e un’immersione attenta negli universi femminili caratterizzano la sua scrittura, che mantiene un registro altamente poetico.
In Italia, per Mondadori, sono usciti «Il paese di Juan», «Il viaggio di Stefano», «La bambina, il cuore, la casa». Il Castoro, invece, porterà al Festivaletteratura l’americano Mo Willems, che firma la serie «Reginald e Tina» (parlerà l’11 settembre, alle 10,30 e alle 16.30, Palazzo del Mago), e l’irlandese Louise O’Neill con il suo romanzo d’esordio, il distopico «Solo per sempre tua», che lavora sul tema del sessismo e sull’ossessione intorno al corpo femminile (incontro sabato 10 con Michela Murgia, Casa del Mantegna, ore 15). Per Salani, a Mantova ci saranno Bianca Pitzorno (mercoledì 7, ore 16, Casa Mantegna) con la riedizione de «La bambina col falcone», ma anche Thórarinn Leifsson, scrittore e illustratore islandese con il suo «La folle biblioteca di nonna Huld» dove viene immaginato un mondo senza libri in cui la protagonista Albertina si rifugia in bagno per leggere, anche solo i bugiardini delle medicine (venerdì 9, ore 17,30, chiesa Santa Maria della Vittoria). E il messicano Juan Villoro, con il suo «Libro selvaggio» (domenica 11, ore 18, Palazzo Castiglione).

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VERDI DISSEMINAZIONI. I nomi plurali della cura: giardini, vallate e paesaggi

La descrizione di una natura non sempre ordinata bensì selvaggia e al contempo di cui prendersi cura con responsabilità, interroga anche il Festivaletteratura.
Venerdì 9 settembre presso la Casa della Beata Osanna Andreasi, avrà luogo l’omaggio di Lorena Zambon a Pia Pera, recentemente scomparsa che ha consegnato al suo libro Al giardino ancora non l’ho detto (Ponte alle grazie) pagine di straordinaria e grata meraviglia, insieme alla canadese Jane Urquhart con il suo Qualche altro giardino, edito da Del Vecchio di cui parlerà con Gaia Manzini sempre il 9 presso Palazzo Ducale. Nello stesso giorno e nello stesso luogo anche Umberto Pasti che racconterà della vallata di Rouhuna, a sud di Tangeri.
Gli incontri che complessivamente saranno sei sono idealmente inseriti a buon diritto nel tratto disseminato ma preciso che il Festival lega il tema dell’ambiente, della natura e di quelle pratiche messe in atto da attivisti e addetti ai lavori. Come nel caso di Carlo Petrini, fondatore di Slow Food e autore di Buono, pulito e giusto (Einaudi) o Grammenos Mastrojeni, collaboratore del Climate Reality Project. Il cambio di paradigma non riguarda tuttavia solo l’ambiente ma più in generale la necessità di mutamento che passa da scenari come quelli raccontati da Giorgio Boatti (Portami oltre il buio, Laterza) e Angelo Ferracuti (Andare. Camminare. Lavorare, Feltrinelli) che parleranno insieme venerdì 9 presso l’Aula Magna dell’Università.

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ANNIVERSARI. I 400 anni di Shakespeare dai Gonzaga

Nell’itinerario dei saperi, ospitato a Festivaletteratura di Mantova, si ritorna ai maestri con un omaggio dedicato a Shakespeare e ai suoi 400 anni dalla morte.
Gli incontri sono ben tre con Patrizia Cavalli (oggi presso il Conservatorio di musica «Campiani») che ha appena pubblicato per le edizioni nottetempo «Shakespeare in scena» – comprendente le traduzioni di «La tempesta», «Sogno di una notte d’estate», «Otello» e «La dodicesima notte». Sarà presente anche Jeanette Winterson (venerdì 9 a Palazzo San Sebastiano) che l’anno scorso per Rizzoli ha pubblicato Lo spazio del tempo. «Una riscrittura del Racconto d’inverno»; infine Howard Jacobson (domenica 11, Palazzo San Sebastiano) che a Shakespeare ha dedicato il romanzo «Il mio nome è Shylock» (Rizzoli).