«Siamo italiani e io lo voglio gridare per la prima volta. Siamo i migliori e lo dimostreremo. E noi siamo la sintesi, come Movimento 5 Stelle, dei migliori».

Soltanto tre giorni fa, in occasione del videomessaggio di fine d’anno, Beppe Grillo aveva evitato di fare riferimento al caso romano e alle tensioni interne che hanno segnato gli ultimi mesi dell’era Raggi. È inevitabile però che leggendo i sei articoli del codice di regolamentazione diffuso ieri si pensi soprattutto alle faccende romane, all’esposto di fuoco presentato dalla magistrata Carla Raineri sulle prime settimane in Campidoglio, ai veleni (circolati dapprima e soprattutto all’interno del M5S) sul «virus Marra» che avrebbe contagiato la giunta, secondo la nota definizione della deputata Roberta Lombardi.

E così, mentre si attende che il ventilato avviso di garanzia per abuso d’ufficio compaia sulla scrivania di Raggi, si scopre che non necessariamente l’iscrizione sul registro degli indagati comporterà la sospensione o addirittura il temuto ritiro del brand Movimento 5 Stelle dall’amministrazione romana. E tuttavia, si viene a sapere anche che se mai dovesse arrivare la notizia d’indagine, ancora una volta sarà evidente che sarà Grillo, colui che nel regolamento viene chiamato «il Garante», a tenere in pugno le sorti della sindaca e della sua giunta.

Nonostante tutto ieri Paolo Ferrara, capogruppo M5S in consiglio comunale, ostentava serenità di fronte alle nuove regole. «Sono norme a tutela dei cittadini – ha detto Ferrara – per dare loro delle certezze. Adesso in caso di indagini ci sono delle regole scritte a cui attenersi. Non siamo più tranquilli adesso, perché tranquilli lo siamo sempre stati». Da giorni Raggi dice «Se mi arriva l’avviso di garanzia, valuterò», ma c’è un prima e un dopo l’arresto di Raffaele Marra. E non è un caso che proprio Massimo Colomban, cioè l’uomo che dai vertici nazionali hanno piazzato in giunta per controllare meglio Raggi, dopo aver rifiutato la carica (considerata troppo «politica») di vicesindaco si sia preso l’incarico di riorganizzare la macchina amministrativa e abbia rilanciato il suo ruolo di assessore alle (imponenti anche se spesso disastrate) società partecipate dal Comune aprendo al protagonismo dei privati, senza timore di smentire un punto fondante del programma elettorale della sindaca.

Per il caso delle firme falsificata per presentare le liste a Palermo, di grillini indagati ce ne sono otto, tra i quali due deputati all’Assemblea regionale siciliana e due parlamentari. Grillo ha chiesto l’autosospensione, ma il caso è ancora aperto. Sembra invece godere di ottima considerazione nelle alte sfere del M5S il sindaco di Livorno Filippo Nogarin, che nei mesi scorsi di avvisi di garanzia ne ha ricevuti due: per la gestione dei rifiuti e per abuso di ufficio. Il sindaco di Parma Federico Pizzarotti, sospeso per un’indagine poi archiviata sulle nomine del teatro Regio, fece notare la disparità di trattamento. Ieri, letto il regolamento, si è tolto l’ennesimo sassolino dalla scarpa: «Oggi, a distanza di ben sei mesi è arrivata la conferma di quanto ho sempre detto. Il punto è semplice: chi fa notare le incongruenze e i gravi errori di una forza politica non è un traditore, né un infiltrato, ma una persona che con onestà intellettuale dice le cose esattamente come stanno, proponendo giuste soluzioni e senza aver paura delle conseguenze di tenere la testa alta».

Pizzarotti ribadisce «l’illegittimità» della sua sospensione proprio perché a quel tempo mancava un regolamento: «Quando il M5S mi aveva sospeso – ricorda – mancava un regolamento sulle sospensioni e uno sul codice di comportamento. Nelle controdeduzioni che mi erano state chieste lo feci notare: impossibile e illegittimo sospendermi se mancano i regolamenti per farlo. Da parte dei vertici silenzio assoluto, lo stesso da parte del direttorio, ora rottamato senza neppure una spiegazione»