Un pari fra Hillary Clinton e Bernie Sanders. La vittoria del conservatore integralista Ted Cruz sull’invincibile Trump. I verdetti dei caucus dell’Iowa hanno inaugurato le primarie presidenziali sfatando qualche mito senza per questo confutare del tutto i pronostici.

Gli scrutini dell’Iowa servono a separare i candidati plausibili dagli improponibili a conferire l’impagabile aura di vincitori o la fatale reputazione da perdente. Non è quindi imperativo vincere ma battere le aspettative. Meglio a volte piazzarsi terzo battendo i pronostici che vincere con un margine minore di quello previsto dai sondaggi.

In campo repubblicano la vittoria di Cruz ha confermato le credenziali teocon del senatore texano con un elettorato fortemente evangelico e tradizionalista. Ma il vero bottino è stato superare Trump dopo un paio di settimane di testa a testa nei sondaggi. Oltre ai ai candidati relegati in fondo alla classifica come Bush, Christie e Rand Paul.

È proprio il miliardario newyorchese ad essere il gran perdente pur secondo solo di un paio di punti percentuali. Per Trump lo smacco non sta tanto nella la manciata di delegati in meno ma nella figura barbina dopo mesi di campagna fondata sull’immagine di “vincitore nato”. Per lui la campagna riprende oggi in new Hampshire con un’aura decisamente incrinata.

L’altro vincitore fra i repubblicani è stato Marco Rubio, piazzato terzo a un soffio da Trump. Il 22% di consensi raccolto dal senatore cubano-americano della Florida ha rincuorato l’ala “moderata” che negli ultimi mesi aveva assistito con orrore allo scippo del proprio partito da parte di outsider come Trump e Cruz. Su Rubio si concentreranno ora plausibilmente le speranze (e i finanziamenti) dell’establishment Gop.

In Iowa lo sfoltimento della schiera di pretendenti avviene attraverso l’arcana procedura nota come caucus. In uno stato minuscolo e scarsamente rappresentativo del paese (rurale, bianco al 91%), le votazioni avvengono in 1.600 circoscrizioni circa attraverso un sistema che taluni comparano alla democrazia ateniese ma che somigliano forse più ad assemblee di villaggio nelle colonie puritane.

Ieri sera, dopo l’orario di lavoro, circa 200.000 cittadini si sono dati appuntamento in auditori civici, parrocchie e palestre di scuola per selezionare i primi delegati per ogni candidato che andranno alle convention di luglio.

Le assemblee iniziano con i discorsi a favore di ogni candidato. Poi, nei caucus repubblicani vengono distribuiti biglietti su cui ognuno vota a scrutinio segreto.

 

Campagna elettorale del repubblicano Marco Rubio a Clive, Iowa – foto REUTERS/Aaron P. Bernstein – LaPresse

 

 

In quelli democratici invece va in scena una complicata coreografia per cui i sostenitori di ogni candidato si dividono fisicamente nello spazio; una prima conta determina se vi sono candidati che non raggiungono la soglia del 15%, in questo caso i delegati di minoranza hanno l’opportunità di aggregarsi ai gruppi maggioritari, invitati e incoraggiati da questi ultimi con cori, slogan e tentativi di persuasione in extremis. Una bolgia rumorosa da cui sono emersi i delegati, in questo caso, per Hillary Clinton e Bernie Sanders.

Ma mentre la conta si protraeva nella notte, i risultatati sono rimasti inchiodati su una parità statistica (49,8% per Clinton; 49,6% per Sanders) ed entrambi i candidati hanno pronunciato discorsi di vittoria.

Hillary Clinton che, affiancata da Bill e Chelsea, ha dichiarato di aver “tirato un sospriro di sollievo”,  è parsa effettivamente sollevata dall’aver contenuto una sfida che era parsa imprevedibile e nelle utlime settimane forse incontenibile.

Dal canto suo Sanders ha tenuto testa a quella che sembrava la candidata predestinate, un risultato che lo legittima definitivamente come candidato a tutti gli effetti, ottenuto perdipiù senza sponsor forti  – il suo fundraising di $50 milioni negli ultimi quattro mesi è provenuto da 1,3 milioni di privati cittadini – dimostrazione notevole di democrazia diretta in un sistema blindato dai finanziamenti corporativi.

Al risultato di oggi si potrebbe sommare una prevedibile vittoria di Bernie Sanders la prossima settimana in New Hampshire.

Se Hillary, la cui sconfitta in Iowa nel 2008 per mano di Obama fu un cattivo presagio, si trova ancora una volta con una strada più in salita del previsto, il merito è di Sanders, il riformista socialdemocratico di 74 anni che fa sognare i giovani con un «realismo idealista» che raccoglie in parte l’eredità di Occupy e la componente «generazionale» della «Obama coalition».

 

Hillary Clinton speaks as her husband former President Bill Clinton and their daughter Chelsea accompany her at a campaign rally in Des Moines, Iowa January 31, 2016. REUTERS Brian Snyder
Hillary Clinton con il marito Bill e la figlia Chelsea a Des Moines, Iowa foto REUTERS/Brian Snyder – LaPresse

 

Ma l’imprevisto Sanders non è nulla in confronto allo scompiglio che regna in campo repubblicano.

La campagna «insurrezionalista» di Donald Trump ha sì subito una battuta d’arresto ma la vittoria di Cruz, integralista profondamente reazionario e allergico alla disciplina di partito non ha certo rincuorato gli strateghi repubblicani. Cruz ha capitalizzato sull’alta percentuale evangelica dei repubblicani in Iowa ma rimane inviso all’establishment Gop.

E l’estremismo che lo rende un beniamino del Tea Party potrebbe invece rivelarsi controproducente quando si tratterà di consolidare i consensi nazionali.

 

 

Donald Trump kisses his daughter Ivanka as he speaks at a campaign rally on caucus day in Waterloo Iowa February 1 2016 REUTERS-Rick Wilking
Donald Trump bacia la figlia Ivanka in un comizio a Waterloo, Iowa – foto REUTERS/Rick Wilking – LaPresse

 

 

L’«insurrezione» di Trump è stata in realtà alimentata ad arte con una demagogia populista dai toni surreali, accuratamente sprovvista di progetto politico o piattaforma programmatica. Si regge invece su proclami, slogan ed editti contro violentatori messicani e terroristi islamici. Soprattutto sul culto di Trump, del vincente che vince. Un Ubu Roi importato dai reality che da decenni produce, Trump è il frutto avvelenato della demagogia populista che il partito repubblicano da tempo impiega «strategicamente» per mobilitare i consensi dei segmenti più integralisti. La brevettata strategia di neocon come Karl Rove, che oggi si strappano i capelli davanti alla resistibile ascesa del miliardario-celebrity.

Il carburante di Trump insomma è la rabbia bianca che contempla con risentimento tinto di xenofobia il passaggio in minoranza demografica previsto per il 2040. È probabile che alla fine il serbatoio di fiele non sia abbastanza profondo per portare alla vittoria nazionale una campagna fondata su paura e delirio. Ma è del tutto possibile che la sua forza distruttiva si ritorca catastroficamente sul partito conservatore che contempla ora una verosimile spaccatura alla convention o un’eventuale corsa da indipendente da parte di Trump.

 

rally with U.S. Democratic presidential candidate Hillary Clinton in Cedar Rapids, Iowa January 30, 2016. REUTERS Brian Snyder
Cartello a un comizio di Hillary Clinton a Cedar Rapids, Iowa- foto REUTERS/Brian Snyder – LaPresse

 

La partita repubblicana insomma è lungi dall’essere chiusa e diventa cruciale a questo punto la primaria di martedì prossimo in New Hampshire. Cruz dovrà dimostrare di saper ripetere, Rubio di poter migliorare ulteriormente e Trump di poter risorgere mentre per i minori, Bush, Christie e Kasich, si tratta plausibilmente dell’ultima spiaggia.

Con queste premesse, lo scenario più plausibile rimane quello di una vittoria di Hillary pur dopo una campagna più ardua del previsto.

Nel day after dell’Iowa il dato fondamentale della campagna è destinato a rimanere l’incertezza.

 

Bernie Sanders (C) kisses his wife at a campaign rally in Des Moines, Iowa, the United States, Jan. 31, 2016. Xinhua Yin Bogu
Bernie Sanders bacia la moglie in un comizio a Des Moines, Iowa – foto Xinhua/Yin Bogu – LaPresse