Sono passati cinque anni dall’inizio della crisi greca. Vediamo cosa è accaduto dal 2009. Ci aiuterà a renderci conto di cosa potrebbe ulteriormente accadere.

Novembre 2009, il rapporto deficit/pil della Grecia è prossimo al 12,5 % del Pil, quattro volte in più rispetto al tetto del sacro 3%. La Grecia viene accusata di aver truccato i propri conti e il marchio dell’empietà e del tradimento cala come una scure sulla penisola ellenica. A dicembre, l’agenzia Fitch declassa i titoli di Stato greci da A- a BBB+ e Standard & Poor’s e Moody classificano gli stessi titoli come «spazzatura». Sarebbe opportuno riflettere sul carattere simbolico di questa definizione, propria del «gergo finanziario». Da quel momento in poi, infatti, al rango di «spazzatura» vengono relegati diritti, redditi e condizioni di vita della popolazione greca, colpevole di non esser stata sufficientemente «competitiva» e ligia ai parametri europei. È l’inizio dell’austerità e della sovranità limitata in Grecia.

A marzo 2010, la Grecia di Papandreou presenta alla Commissione Ue un programma per la riduzione progressiva del deficit di bilancio dal 12,5 al 2% del Pil nel triennio 2010-2013. Il piano, oltre all’aumento dell’Iva sui beni di consumo, prevede il congelamento delle pensioni e tagli agli stipendi dei dipendenti pubblici. Il 23 aprile 2010 il premier chiede ufficialmente un piano di salvataggio. Ha inizio l’eterodirezione delle politiche attraverso il cappio del debito.

Il 2 maggio 2010, Fmi e Ue si accordano per versare alla Grecia 110 miliardi in prestiti per tre anni. In cambio ottengono il taglio dei sussidi pubblici, il contenimento diffuso del prepensionamento e l’innalzamento dell’età pensionabile. Aprile 2011, il deficit di bilancio greco è al 13,6% del Pil. Un massiccio piano di privatizzazioni ha inizio con lo scopo di raccogliere 50 miliardi entro il 2015 per ripagare il debito.

Il 29 giugno 2011, un secondo disegno legge viene approvato come precondizione necessaria all’ottenimento di ulteriori prestiti. Tagli alla spesa pubblica e aumento delle tasse. Il 3 luglio 2011 l’Eurogruppo invia ad Atene una tranche da 8,7 miliardi. Il 27 ottobre 2011 Ue e Fmi scendono in campo con un nuovo pacchetto di salvataggio da 130 miliardi. Il cappio si stringe.
Febbraio 2012, nuovi prestiti sono concessi in cambio della riduzione dei salari minimi del 22%, delle pensioni del 15% e di una contrazione di 15.000 posti del pubblico impiego. La disoccupazione sale al 21%. Ma questo sembra esser visto con favore dalla Troika, Ue, Fmi e Bce. In cambio, la Grecia ottiene un ulteriore prestito. Ma si tratta di un regalo avvelenato, perché stringerà ancor di più il giogo attorno alla terra di Aristotele. Ad ottobre 2012 il Parlamento approva un ulteriore piano di austerità con aumento della tassazione e tagli alle pensioni. Il circolo vizioso è senza uscita: è all’orizzonte un successivo piano di prestiti di salvataggio da parte di Ue e Fmi. E un taglio di 15 mila posti di lavoro per il servizio civile oltre alla chiusura del servizio pubblico radiotelevisivo. Luglio 2013, 12.500 lavoratori statali sono messi in mobilità e 13.000 persone licenziate.

Marzo 2014, inizia la stagione delle liberalizzazioni e delle riforme per aumentare la «concorrenza». Cioè la svendita di un’economia allo stremo.
Fino all’insediamento del governo Tsipras, questo è il triste refrain che ha scandito la vita della Grecia. Siamo al gennaio 2015 e il popolo greco tenta di capire se può riappropriarsi della propria dignità attraverso la democrazia.

Le conseguenze sociali ed economiche delle politiche di austerità implementate nell’ultimo quinquennio sono state devastanti. Il debito pubblico, la cui riduzione era l’obiettivo principe dell’austerità, è passato dal 129 al 177% del Pil. Dal 2009 la disoccupazione in Grecia è aumenta di oltre 8 punti percentuali passando dal 18 al 26,5%. Più del doppio della media dell’Eurozona. La disoccupazione giovanile (15-24 anni) ha raggiunto il 57% (Fonte Eurostat). Il crollo degli investimenti pubblici, dal 20,9% (sul Pil) del 2009 all’11,6% si è accompagnata ad una contrazione del Pil pro-capite di quasi 6 mila euro. E 65 mila piccole attività hanno chiuso i battenti nel 2010. La percentuale delle famiglie a rischio di povertà è aumentata dal 19,7% del 2009 al 23,1% attuale. Dal 2009 al 2011 la percentuale di senza tetto è aumentata del 25% alimentando la nascita di una nuova generazione di indigenti provenienti dalla classe media e con un titolo educativo medio-alto. Il numero dei suicidi si è quasi raddoppiato dal 2010 al 2011 assieme a quello delle infezioni da HIV (52%) di pari passo con la chiusura dei centri antidroga e delle cliniche psichiatriche.