«La Colombia si è abituata alla guerra, ci vuole il tempo per diffondere una pedagogia della pace». Così dice al[/ACM_2] manifesto Juan Fernandez, membro della Commissione internazionale del Congreso de los pueblos, uno dei due più importanti movimenti popolari, insieme a Marcia Patriottica. Lo abbiamo incontrato a Roma, durante l’incontro di solidarietà internazionale organizzato dall’Associazione Italia-Nicaragua.

Cos’è il Congreso de los pueblos?

È un movimento sociale e politico nato quattro anni fa in Colombia che trae origine dalle lotte della Minga social y comunitaria e che è cresciuto man mano attraverso le mobilitazioni nel 2004, nel 2006, fino a che, nel 2010, diverse organizzazioni si sono unite per dar vita al Congreso. Un’organizzazione composta soprattutto da indigeni e contadini, ma anche da sindacalisti, da comunità afrodiscendenti e da movimenti urbani. È completamente orizzontale, un processo più lento ma più sicuro. Ha quattro portavoce a livello nazionale e uno per ogni tema: di genere, contadino, indigeno… Vengono eletti in un’assemblea annuale e confermati ogni sei mesi. La commissione internazionale dipende da quella politica, il massimo organo del Congreso, poi ci sono la commissione sui diritti umani e quella sul tema della pace.

Quali sono le posizioni del Congresso rispetto alle due cinquantennali guerriglie colombiane, Eln e Farc?

Siamo un movimento sociale e funzioniamo su mandato proveniente da un congresso nazionale. Vi sono stati due congressi, uno su terra e territorio dal quale abbiamo tratto le direttive e le modalità di funzionamento nei territori e un secondo che si è svolto a Bogotà a cui hanno partecipato 25.000 persone che ha deliberato sul tema della pace, prioritario oggi in Colombia. Uno spazio che sta crescendo e che incontra la mobilitazione di altre organizzazioni popolari. Molte confluiscono nel Frente Amplio che si è costituito durante le elezioni. Noi non abbiamo ancora deciso se farne parte perché il Frente è nato nella congiuntura politica elettorale per appoggiare la rielezione del presidente neoliberista Manuel Santos e abbiamo paura che questo possa limitare o soffocare le mobilitazioni popolari. In ogni caso siamo consapevoli che non dobbiamo trascurare la partecipazione a uno spazio politico più grande e ne stiamo discutendo.

Ai tavoli di pace le organizzazioni di guerriglia hanno insistito perché vi fosse una partecipazione dei movimenti sociali. A che punto stanno le cose?

La questione è stata ripetutamente posta, ma il governo non ha voluto cedere, finora hanno potuto partecipare solo associazioni delle vittime.

In Colombia c’è anche il movimento Marcia patriottica, quali sono i vostri rapporti?

In Colombia, nel 2013 e nel 2014 vi sono stati due grandi scioperi, soprattutto contadini e popolari, il primo nell’agosto-settembre dell’anno passato. E che è stato duramente represso: 14 morti e oltre 200 detenuti. Da allora tutte le organizzazioni hanno cominciato a porsi il problema dell’unità, a lavorare insieme e a dicembre hanno organizzato un grande incontro. Da lì è arrivato un accordo firmato a marzo a Bogotà che si chiama la Cumbre in cui 12 organizzazioni si sono unite, tra queste noi, Marcia patriottica, movimenti cristiani, l’Unione nazionale indigeni (Unic), tutti i settori che avevano organizzato gli scioperi, e che hanno da lì negoziato uniti con il governo: a maggio giugno di quest’anno e poi dopo le elezioni, in un incontro il 13 ottobre. Con Marcia patriottica abbiamo ottimi rapporti e lo stesso obiettivo – il socialismo – ma anche percorsi diversi.

Marcia Patriottica si presenta alle amministrative, e voi?

Il Congresso per ora non ha candidati. Bisogna però dire che c’è già un senatore che fa riferimento a noi, Alberto Castilla. Il Congresso non avalla ufficialmente nessun candidato né spazi politici tradizionali perché le sue origini sono al di fuori delle istituzioni e da noi anche solo parlare di movimento politico richiama un percorso elettorale e viene rifiutato, sarebbe come negare quel che pensa la base. Però tutti sanno da dove viene Castilla, un dirigente contadino, uno dei fondatori del Congresso del popolo molto conosciuto e apprezzato.

Che pensa della cattura del generale Dario Alzate da parte delle Forze armate rivoluzionarie colombiane? Persino Santos ha fatto notare che un generale della sua levatura non poteva addentrarsi senza armi e in abiti civili nelle zone controllate dalla guerriglia

. C’è un settore di estrema destra convinto che la guerra possa finire solo con la distruzione dell’altro e che bisogna fare come gli Usa in Vietnam: terra bruciata. Un settore legato a Uribe, che non a caso ha annunciato il sequestro molto prima del governo. Crediamo che questi settori di cui fanno parte anche grossi pezzi dell’esercito vogliano interrompere il dialogo. Un generale sa come ci si comporta in zona di guerra. E uno come lui, con i suoi trascorsi, era senz’altro un prigioniero di guerra molto ambito. I compagni delle Farc hanno però dato una grande dimostrazione di pace proponendo di liberarlo per non interrompere il dialogo. Il Congreso e gran parte della società chiede un cessate il fuoco bilaterale.

Tutte le volte che la guerriglia ha ottenuto un accordo e ha partecipato alla vita politica è poi finita in tragedia, con un massacro come nel caso della Union Patriotica. Quali garanzie possono nascere invece oggi dai tavoli di pace?

Non crediamo vi siano garanzie per i movimenti sociali all’interno della politica tradizionale, al massimo si può trovare un accordo sul conflitto armato e si deve trovare. Noi pensiamo che una volta trovato l’accordo arriva il periodo del post-accordo: un periodo di forte mobilitazione sociale per arrivare a cambiamenti strutturali che nessuno farà per decreto: ci vorranno altri 10-15 anni di mobilitazioni popolari prima di vedere davvero una svolta. Marcia Patriottica spinge per arrivare a un’Assemblea costituente, ma qui noi non siamo d’accordo: non crediamo che esistano le condizioni in un paese in cui abbiamo solo 5 deputati di sinistra. Ci vuole un processo di educazione. La Colombia è un paese in guerra da cinquant’anni. Per un contadino, un indigeno, è normale far parte della guerriglia, praticare il sacrosanto diritto alla rivolta contro la violenza dello stato. Uno stato che controlla tutto: i mezzi di produzione, la struttura militare. Parlare ora di Costituente mi sembra prematuro e rischioso. Per questo il Congresso ha deciso di iniziare il percorso per una pedagogia della pace. Ma per metterla in pratica ci vorrà molto tempo. Sempreché non ci ammazzino e ci facciano scomparire.