Forse “il gran Partito” ancora non c’è, ma per tutto il resto non manca davvero nulla. Bandiere rosse con falce e martello, 550 delegati da tutta Italia, saluti dai partiti comunisti dei cinque continenti. A Bologna va in scena il congresso fondativo del nuovo Partito comunista italiano. Esattamente 27 anni dopo la svolta della Bolognina, quella che archiviò il partito che fu di Gramsci e Togliatti. Tre decenni dopo eccoli qui i comunisti, giovani e vecchi, sessantenni nostalgici e ventenni nati negli anni 90 che guardano a quell’epoca come all’età dell’oro. Ma non siamo in Good Bye, Lenin!, nessun ritorno al passato. Le parole che i comunisti usano oggi sono «precarietà», «vittoria del neoliberismo», «rabbia e paura degli elettori che si affidano alla destra populista», e «delusione di chi crede nella sinistra». Spina dorsale dell’operazione politica il vecchio Partito dei Comunisti Italiani che fu di Cossutta e poi solo di Diliberto, e che ora si scioglie nella nuova formazione. Ma tra i 500 delegati ci sono anche sindacalisti Cgil e militanti del prc. E al partito di Paolo Ferrero vanno gli inviti più pressanti. A dicembre ci sarà il congresso, e la speranza di tutti è che stavolta la riunificazione vada in porto.

Il nuovo Pci sarà l’ennesimo partito dello zero virgola? «Vogliamo un’alternativa di governo, ma proponiamo anche un’alternativa di società», dice Mauro Alboresi, 60enne, ex PcdI e da oggi probabile primo segretario del rinato Pci. «Lanceremo una campagna capillare per la sanità pubblica e gratuita – annuncia -. No ai ticket per gli esami, no ai soldi alle scuole private, no all’Italia nella Nato». Le bandiere del nuovo Pci campeggiano ovunque nel circolo Arci bolognese di San Lazzaro di Savena scelto per la tre giorni. Il simbolo è quasi lo stesso del nobile antenato: cambia il carattere del testo, spariscono le lettere puntate e le aste delle bandiere con falce e martello e tricolore diventano scure. Tra i delegati soprattutto uomini, età media 45- 50 anni, ma i giovani non mancano. Tra di loro parlano delle recenti elezioni della politica estera (bene il partito comunista cinese, l’intervento di Putin in Siria e la funzione antiimperialista di Assad; non benissimo il Kurdistan libero, possibile avamposto statunitense nell’area). Si discute anche di Brexit, e qui quasi tutti sono per l’uscita «da questa Europa irriformabile, vedasi la fine che ha fatto Tsipras in Grecia». Fischi quando dal palco un delegato cita Napolitano, applausi quando qualcuno propone di creare nelle fabbriche «comitati di agitazione per spingere le burocrazie sindacali verso la lotta di classe». Tra i delegati Filomena, pensionata bolognese, dice di non sentirsela di stare con le mani in mano. “Tanti zero virgola possono fare qualcosa, sono qui con dei compagni giovani e non posso immaginare di lasciare loro un paese peggiore di quello che ho trovato io». Vanes, che a San Lazzaro di Savena è di casa, ha sempre votato Pci e derivati. Ma l’ultimo Pd, quello di Renzi «che ha distrutto tutto», no. Angelo invece arriva da Pachino, ed è forse il più giovane: 15 anni, occhiali da giovane Togliatti. Dice di essersi innamorato della politica dopo aver letto il Rapporto di Berlinguer al congresso del 1975 ed ora parla dell’agricoltura siciliana. Suo padre è un bracciante e deve fare i conti con una filiera del pomodoro «che paga 15 centesimi al chilo e rivende a 12 euro». Fabio e Rocco invece arrivano dalla Calabria, da quella Polistena governata da decenni dai comunisti. «Perché siamo qui? Perché finché ci sarà sfruttamento ci sarà un comunista».