«Questo referendum non riduce gli spazi di democrazia come qualcuno vorrebbe far credere». Matteo Renzi risponde immediatamente a Massimo D’Alema. È l’ex presidente del Consiglio il «qualcuno» che martedì ha conquistato il palco della festa nazionale dell’Unità di Catania. Da lì ha strapazzato il ministro degli esteri Paolo Gentiloni e si è preso molti applausi sostenendo che «non si cambiano così le costituzioni, con una maggioranza raccogliticcia di trasformisti, il partito democratico non può scherzare con i principi essenziali della democrazia». Renzi non si distrae, e nel giorno in cui incassa il pesante sostegno della cancelliera tedesca in visita in Italia, non dimentica gli avversari interni. Anzi sceglie il rimontante D’Alema come bersaglio polemico, sapendo in questo modo di moltiplicare gli imbarazzi nella minoranza Pd.
«Auguro molto successo a Renzi nel portare avanti l’agenda delle riforme: fa bene all’Italia ma anche all’Europa». Merkel l’aveva già detto ed è tornata a ripeterlo a Maranello. Un appello a votare Sì al referendum costituzionale così esplicito – la notizia della sera per i Tg – conferma lo squilibrio della campagna elettorale. Ma non è detto che lo spot della non popolarissima signora Merkel giovi troppo alla causa renziana.

Renzi torna a parlare della «madre di tutte le riforme» dopo una settimana di stop per il terremoto. Insiste che la vittoria del Sì «riduce le poltrone senza toccare minimamente il sistema dei contrappesi e rende il paese più semplice e giusto». Questo per il presidente del Consiglio significa «dire la verità e parlare del merito». Il premier che si era messo al centro della sfida referendaria cerca in tutti i modi di recuperare lo sfondo. Anche lo slogan scelto per guidare la campagna del Sì lo testimonia: «Il referendum degli italiani». Se questo è il tentativo, a palazzo Chigi non vedono male il protagonismo di D’Alema. Per primi hanno sperimentato nei sondaggi quanto, parlando della Costituzione, l’eccesso di entusiasmo e i toni troppo alti finiscano per spaventare i cittadini. D’Alema è partito lancia in resta e sarà il protagonista della prossima settimana, a partire da lunedì. Nel pomeriggio infatti radunerà in un cinema romano (il classico rituale prevede che la sala più piccola, precedentemente prenotata, sia stata disdetta di fronte alla partecipazione montante) militanti dalle federazioni, parlamentari, professori. Per sfuggire al cliché del «signornò» presenterà la sua proposta di mini riforma costituzionale annunciata a Catania: riduzione dei parlamentari (più forte di quella prevista nella riforma Renzi-Boschi, 400 deputati e 200 senatori), limiti alla navette e fiducia solo alla camera. Riassunta dallo slogan «No, non così», la sua è una critica totale alla riforma costituzionale e alla legge elettorale: «L’Italicum è incostituzionale».

Per il momento, la discesa in campo di D’Alema fa discutere soprattutto la minoranza organizzata nel Pd, quella dei bersaniani. «Non è la nostra posizione», spiega il senatore Federico Fornaro. E non può esserlo, perché la minoranza ha votato a favore della riforma costituzionale in tutti i sei passaggi parlamentari (negando il voto solo all’Italicum). Ragione per cui i bersaniani restano sulla linea «decideremo di votare No solo se non ci saranno modifiche alla legge elettorale» già sbeffeggiata da D’Alema: «Tanto è chiaro che l’Italicum non lo cambiano».
I bersaniani rischiano in questo modo di trovarsi al centro tra le due posizioni, cosa che secondo Renzi dovrebbe contribuire a depotenziare la minoranza organizzata del Pd. E così Bersani insiste nell’attaccare il presidente del Consiglio da una prospettiva diversa. Anche ieri sera, dalla festa dell’Unità di Genova, ha tentato di parlare delle riforme costituzionali parlando d’altro: «di quello di cui parlano le famiglie quando sono a tavola, a cominciare dal lavoro e dal terremoto. Se continuiamo a parlare di referendum ho paura che ci metteremo tutti un po’ nei guai. La gente siccome ha altri problemi finisce che si distacca sia dai politici che dalla stampa».