Una delle figure più emblematiche, complesse e sotto certi aspetti controverse del Portogallo post salazarista quella di Mário Soares, la cui vita politica può essere divisa in tre fasi distinte: oppositore al regime autoritario (fino al 1974), protagonista della transizione e normalizzazione democratica (1974-1976) e la terza quella di leader del socialismo portoghese, primo ministro e capo di Stato, fino al 1996.

SOARES AVEVA 19 ANNI (1943) quando si schiera con le forze di opposizione al regime salazarista entrando a fare parte del Movimento de Unidade Nacional Antifascista (Munaf) legato al Partido Comunista Português di Alvaro Cunhal. Negli anni cinquanta continua la sua battaglia contro il regime spostandosi però su posizioni socialiste. Verrà più volte imprigionato, complessivamente tre anni, e deportato al campo di internamento nell’isola di São Tomé fino a quando, nel 1968, è esiliato a Parigi dove resterà fino alla fine della dittatura.

SICURAMENTE uno dei momenti cruciali nella vita politica di Soares è quello legato al periodo della transizione democratica. Quando il 25 aprile del 1974 i capitani marciano su Lisbona, il futuro presidente della Repubblica è già segretario generale del neo-nato (1973) Partido Socialista (Ps).

Abbattuto l’Estado Novo si apre la fase del Prec, Processo Revolucionario em Curso. Tre, per riassumere, le possibili opzioni in campo, o comunque quelle che erano percepite come tali: costruzione di un regime socialista, neo conservatorismo gaullista legato al Maresciallo António Spinola e stabilizzazione o, a seconda dei punti di vista, normalizzazione democratica.

Erano gli anni che seguivano il ’68 e in cui la guerra fredda viveva una fase di recrudescenza: il Cile, la sconfitta degli americani nel Vietnam, l’eurocomunismo, Enrico Berlinguer e, dietro a tutti, l’ombra lugubre di Henry Kissinger. Difficile dare coordinate definitive perché ancora oggi non è del tutto chiarita quella che è stata la posizione del Pcp di Cunhal relativamente alla prima delle opzioni di cui si è accennato: democrazia liberale o democrazia popolare.

DA WASHINGTON – presidenti Richard Nixon prima e Gerald Ford poi – si guarda all’evoluzione di quanto succede a Lisbona con grande preoccupazione. Kissinger teme che la situazione possa sfuggire di mano e preme per un intervento in stile cileno, più ottimista il suo ambasciatore, Frank Carlucci. Fondamentalmente l’opinione dei due uomini statunitensi divergeva quanto alle capacità di Soares, che tra il maggio del 1974 e il marzo del 1975 ricopre la carica di ministro degli Esteri, di evitare una sorta di sovietizzazione nel piccolo paese iberico. Berlinguer disapprova la scelta del Pcp, o non scelta, di schierarsi in modo netto in favore della democrazia e si avvicina a Soares.

IL PRIMO VERO BANCO DI PROVA sono le elezioni per l’Assemblea Costituente del 25 aprile del 1975, a un anno dalla Revolução dos Cravos, in cui il Ps si afferma con quasi il 38% dei voti.

Pur con alcune scosse il Portogallo si stabilizza, e, a partire dal 1977, avvia le procedure per l’adesione alla Comunità Economica Europea e il 12 giugno 1985 sarà proprio Soares a firmare i trattati di adesione.

SCADUTO IL SUO MANDATO alla presidenza della Repubblica nel 1996 Soares resta un protagonista della vita politica portoghese, ma senza ricoprire ruoli istituzionali di grande rilievo. È di nuovo protagonista nell’aprile del 2011 quando convince l’allora primo Ministro José Sócrates a chiedere l’intervento esterno della Troika.

In un secondo momento il presidente emerito assume tuttavia posizioni sempre più dure nei confronti dell’applicazione del Memorandum fino a schierarsi apertamente contro il modo in cui Fmi, Bce e Ue stavano portando avanti i cosiddetti programmi di stabilizzazione dei bilanci pubblici in Portogallo e Grecia e a manifestare la necessità di rompere con questo tipo di patti.