Oscurata dal conflitto a nord con Boko Haram, la «questione meridionale» del Delta del Niger, con l’impatto sulle popolazioni locali delle attività condotte dalle multinazionali del petrolio, resta drammatica. Da un’analisi degli ultimi dati rilasciati da Shell e Eni, Amnesty International rileva che anche nel 2014 sono proseguite le fuoriuscite di petrolio nella regione: Shell ha ammesso 204 episodi mentre Eni, che opera in una zona più piccola, ne ha dichiarati ben 349 (furono 500 nel 2013 e 437 nel 2012). Per capire le proporzioni del disastro è sufficiente pensare che in tutto il continente europeo dal 1971 al 2011 sono state registrate solo 10 fuoriuscite ogni anno.

Non usa mezze parole Audrey Gaughran, direttrice del Programma Temi globali di Amnesty International, per denunciare lo stato delle cose: «Sono dati fortemente allarmanti. Eni – dice – ha chiaramente perso il controllo sulle sue operazioni nel Delta mentre Shell, nonostante le promesse, non ha fatto granché. In un altro paese saremmo di fronte a un’emergenza nazionale, in Nigeria invece per l’industria del petrolio si tratta di procedure operative standard. Ma il costo umano è terribile: la popolazione del Delta del Niger vive in mezzo all’inquinamento ogni giorno della sua vita».

Le compagnie sostengono che le fuoriuscite del 2014 hanno causato la perdita di «soli» cinque milioni di litri. Ma Amnesty ricorda come nel novembre 2014, nel corso di un’azione legale nel Regno Unito, Shell sia stata costretta ad ammettere – dopo averlo negato per anni – di aver sottostimato la dimensione di due grandi fuoriuscite avvenute nel 2008 nel Delta del Niger. Stabilire quanto petrolio è fuoriuscito è cruciale, perché da ciò dipende l’ammontare dei risarcimenti spettanti alle comunità colpite. Shell ha finalmente accettato di pagare 55 milioni di sterline alla comunità di Bodo, dopo aver inizialmente provato a cavarsela con un’offerta indecente di appena 4000 sterline.

«Quando una compagnia deve pagare 55 milioni di sterline per due fuoriuscite che all’inizio aveva provato a minimizzare – insiste Gaughran – gli investitori devono porsi seriamente il problema delle responsabilità nascoste che la compagnia può avere nel Delta del Niger. Se ogni fuoriuscita potesse essere passata in esame come quelle del 2008 a Bodo, allora emergerebbe la vera dimensione dei danni e l’effettiva responsabilità finanziaria di Shell. Oltretutto qui non si tratta solo di responsabilità, bensì di una questione molto grave di diritti umani. Shell sta imbrogliando la gente a proposito dei risarcimenti. Il caso di Bodo ha mostrato chiaramente cosa ci vuole per far dire la verità a questa compagnia: sei anni e un procedimento giudiziario nel Regno Unito. E le altre centinaia di comunità locali che potrebbero essere state imbrogliate?».

Quanto a Eni, che controlla la Nigerian Agip Oil Company, la funzionaria di Amnesty chiama direttamente in causa il governo italiano: «Deve indagare su cosa accade nelle operazioni dell’Eni in Nigeria. I numeri sollevano forti perplessità sulla potenziale negligenza della compagnia in un lungo arco di tempo passato. Tutte le compagnie petrolifere che operano in Nigeria devono rivelare l’età e le condizioni delle loro infrastrutture, avviare una revisione delle loro procedure operative e rendere note le conclusioni, in modo che le comunità locali sappiano cosa sta succedendo». E per la legge nigeriana le compagnie hanno – o meglio, avrebbero – la responsabilità di contenere le fuoriuscite e bonificare le aree interessate, riportandole al loro stato precedente.