«Non c’è dubbio che la sola via è restare vicini e allargare la lotta comune contro il fascismo». Tre fogli di carta, un messaggio scritto a penna: è il testo che il co-presidente del Partito Democratico dei Popoli (Hdp), Selahattin Demirtas, è riuscito a inviare fuori dal carcere di massima sicurezza di Edirne, in cui è detenuto da sabato.

«Il fatto che, insieme ai nostri parlamentari, siamo stati presi in ostaggio come risultato di un colpo di Stato civile non è un mero attacco contro di noi come individui. È un nuovo passo compiuto da chi ha implementato varie misure per consolidare il potere di un uomo solo. Anche se siamo tra quattro mura, continueremo a essere parte della lotta fuori».

Demirtas prova a restare vicino alla base, profondamente scossa dall’ondata di arresti contro i deputati Hdp. Lo fa in condizioni pessime: costretto in una cella isolamento, ieri si è visto confiscare vestiti e libri. Con sé ha solo un letto e una coperta. La prigione di Edirne, del tipo F (ovvero destinata a prigionieri politici, membri di organizzazioni considerate terroriste e ergastolani), negli anni Ottanta divenne sinonimo di abusi e torture.

Sulle mura della prigione, raccontava ieri l’agenzia kurda AnfEnglish, ci sono scritte che esaltano l’identità turca e che accompagnano gli abusi contro i detenuti: isolamento come forma punitiva, pestaggi, confisca di oggetti personali, luci accese tutto il giorno.

A poca distanza, nella stessa città, c’è il centro di detenzione per migranti, ribattezzata «la prigione della vergogna» e oggetto di rapporti di Human Rights Watch, finanziata in parte con i soldi dell’Unione Europea. Impossibile non vedere l’enorme contraddizione, l’ipocrisia europea che esplode ancora un volta lungo una frontiera. Esplode anche dentro il carcere di Edirne che, insieme alle altre di tipo F, è stata oggetto nel 2006 di un rapporto del Comitato europeo per la prevenzione della tortura che parlò di condizioni potenzialmente degradanti e disumane.

Lì dentro c’è il leader di un partito che conta 48 deputati in parlamento. Ieri l’Hdp ha tenuto il primo meeting privo di 12 parlamentari, a cui hanno preso parte gli ambasciatori di Belgio, Austria e Lussemburgo e il rappresentante della Ue. Ma lo scontro tra Bruxelles e Ankara si giocava su altri tavoli: ieri il presidente della Commissione Europea Juncker ha mandato un ultimatum al presidente Erdogan.

Senza nominare direttamente l’Hdp, Juncker ha messo in dubbio la liberalizzazione dei visti che Ankara chiede come parte integrante del “pacchetto-migranti”: «[La Turchia] si allontana ogni giorno di più dall’Europa – ha detto da Bruges – Bisogna che le autorità turche ci dicano se vogliono davvero avvicinarsi. Tutto quello che fanno mi porta a pensare che non vogliono rispettare gli standard europei».

Si palesa anche il possibile congelamento degli infiniti negoziati sull’ingresso della Turchia in Europa. Oggi la Commissione dovrebbe pubblicare un rapporto nel quale definirà la situazione dei diritti umani deteriorata rispetto al 2015, un giorno dopo le preoccupazioni espresse dall’Alto rappresentante Ue agli affari esteri Mogherini. A Lady Pesc risponde il Ministero degli Esteri turco che in un comunicato bolla come «inaccettabili» le critiche di un’istituzione, la Ue, che «ha perso credibilità agli occhi del popolo turco».

Un balletto che va avanti da anni e che permette ad Ankara di agire con la massima impunità mentre sbeffeggia quegli alleati che ne coprono le nefandezze. In casa è l’Europa, fuori sono gli Stati Uniti. Al di là della frontiera, nel nord della Siria, i kurdi siriani delle Ypg – insieme ai combattenti arabi, circassi e turkmeni delle Forze Democratiche Siriane – proseguono nell’avanzata su Raqqa. Altri 5 villaggi sono stati liberati dall’Isis e il fronte si è avvicinato di 14 km alla “capitale” dello Stato Islamico. Il tutto con il beneplacito di Washington che copre l’offensiva dal cielo, ma che con l’altra mano promette Raqqa alla Turchia.

Ankara da parte sua non aiuta di certo l’operazione. Ieri le Ypg hanno denunciato due tentativi di infiltrare gruppi di miliziani anti-kurdi dentro Rojava, dal confine turco verso le comunità di Doda e Kobane.