La firma con cui presidente Erdogan ha ratificato la legge che cancella l’immunità parlamentare era stata apposta il 7 giugno. Una legge che aveva proposto lui stesso.

Ieri si è concretizzata nella prima inchiesta contro due parlamentari turchi: insieme al regista Sirri Sureyya Onder, deputato dell’Hdp (Partito Democratico dei Popoli, formazione di sinistra pro-kurda), c’è ovviamente il co-segretario Selahattin Demirtas.

Sulla sua testa pesano innumerevoli fascicoli: è stato accusato di tutto, tradimento, sostegno ad organizzazione terroristica, incitamento alla violenza, attacco alla costituzione. Ieri, un altro fascicolo si è aggiunto alla lista, il primo dopo la cancellazione dell’immunità e dunque il primo che può portare al processo.

Demirtas e Onder sono stati accusati dal procuratore del distretto di Bakirkoy di «propaganda terroristica» a favore del Pkk per un comizio tenuto a Istanbul nel marzo 2013. Un reato che in Turchia è punito con 5 anni di carcere. Durante quella manifestazione, scrive il procuratore, la folla sventolava immagini del leader del Partito Kurdo dei Lavoratori, Abdullah Ocalan, e dal palco Demirtas e Onder «lodavano il Pkk che punta a formare un Kurdistan indipendente basato su valori marxisti e leninisti e che conduce attacchi armati dal 1984».

L’Hdp l’aveva denunciato subito: la sospensione dell’immunità servirà a colpire la sinistra e il movimento kurdo. Guarda caso ben 50 dei 59 deputati Hdp sono accusati di un qualche reato. Così la magistratura avalla una volta ancora le ambizioni autoritarie del governo: da tempo Erdogan ha di fatto occupato il potere giudiziario, dopo aver fatto lo stesso con il legislativo, cancellando l’evanescente equilibrio costituzionale, l’anglosassone concetto dei pesi e contrappesi: lui propone le leggi, il parlamento le approva, la magistratura agisce.

E con il clima patriottico che pervade la Turchia dopo il tentato golpe, al presidente è tutto consentito: facile spiegare ad un’opinione pubblica in preda al panico (dove a prevalere sono slogan da basso nazionalismo e dittatura della maggioranza) la necessità di stringere le fila.

L’Hdp è stato l’unico partito a non essere invitato alle manifestazioni di massa organizzate da Akp, Chp e Mhp e ai meeting con il governo (l’ultimo ieri, si è discusso di un «mini pacchetto costituzionale»). La pacificazione nazionale non vale per tutti e la sinistra turca resta da sola a svolgere il ruolo di unica vera opposizione al presidente.

Lo aveva detto pochi giorni fa lo stesso Demirtas: al mega raduno di domenica indetto da Erdogan per incensare se stesso «non c’era una briciola di democrazia, noi siamo l’unico partito di opposizione. La gente ha una sola speranza». E un altro raduno, stavolta molto più ristretto, si terrà domani a Istanbul: l’Akp festeggerà i suoi 15 anni. Il partito parla di celebrazioni «modeste» a cui saranno invitate solo 6.500 persone, ma che ricorderà di nuovo «i martiti del tentato golpe».

Ma i martiri di quel putsch fallito non sono solo i morti del 15 luglio. Sono anche i purgati, decine di migliaia di persone arrestate, licenziate, sospese, indagate, private dei propri beni perché considerate parte dello “Stato parallelo” del nemico Fethullah Gülen.

Nella rete con cui Erdogan pesca da settimane avversari veri e presunti è finita anche una star del calcio turco ed europeo, Hakan Sukur: ieri è stato spiccato un mandato d’arresto nei confronti dell’ex calciatore di Milan e Galatasaray perché accusato di «appartenenza ad un gruppo armato terroristico», ovvero il movimento Hizmet di Gülen. Nel 2011 Sukur era stato eletto in parlamento con l’Akp, per dimettersi nel 2013 dopo che un caso di corruzione aveva coinvolto personalità vicine all’imam.

E se Hakan pare sia già in salvo negli Stati Uniti, ieri è stato arrestato suo padre, Selmet Sukur, mentre la corte di Sakarya confiscava tutte le proprietà dei due, tre milioni e mezzo di euro. Beni sequestrati anche allo stesso Gülen: lo ha deciso il tribunale di Adana.

Ieri, intanto, il ministro degli Esteri Cavusoglu ha riferito di «segnali positivi dagli Usa sulla richiesta di estradizione di Gülen», non entrando nei dettagli. Poco prima, però, la portavoce del Dipartimento di Stato Trudeau aveva reagito agli ultimatum turchi affermando che il processo di estradizione potrebbe richiedere degli anni.