Una scrittura solida quella dell’emiliano Dente, dieci anni di rime intelligenti e pezzi curiosi. Capace di sconfinare – con successo, perfino in un libro, Favole per bambini molto stanchi, arrivato nelle librerie un anno fa per i tipi della Bompiani, accolto da ben quattro ristampe. Ora mette un punto a capo nella sua carriera, si autoproduce con la sua etichetta, Pastiglie (distr. Sony), e dà alle stampe il 7 ottobre Canzoni per metà. Venti canzoni, ma dalla durata ridotta (il singolo Curriculum è di appena 55 secondi…). «La sinteticità – spiega Dente – non è un limite, è una forza. Una frase detta bene è più efficace di un libro di duemila pagine». Disco efficace, nonostante la stringatezza, e che colpisce proprio perché riesce andare a fondo della forma canzone pur utilizzando pochi elementi. Strumentazione essenziale, al bando ogni ridondanza.

«Volevo fare – spiega il cantautore nato a Fidenza nel 1976 – un disco come facevo agli esordi, il famoso low file che non va più di moda, ma mi sono accorto subito che non era possibile. Sono andato in studio e lì ho messo tutte le canzoni che avevo. Pezzi non canonici, a volte senza ritornelli e che non seguono una logica per così dire moderna».

Rispetto al precedente  Almanacco di un giorno dopo (2014), una sorta di bilancio , una riflessione sul tempo che passa («ma l’ho scritto quando stavo per compiere quarant’anni…»), qui Dente si fa molte più domande e si mette in discussione. «Mi sono chiesto se devo andare avanti o se quello che ho fatto può bastare. Forse la maturità ti induce ad essere un po’ riflessivo». Il titolo del cd ha anche un’altra spiegazione: «Più ironica, perché sono composizioni che ho scritto per quelle che vengono definite le ’dolci metà’ , le compagne di una vita…».

«Cantautore anni settanta al tempo del circuito indie» è la definizione più spesso usata per definire Dente: «Non mi ci ritrovo molto perché non credo di esserlo. Perché quella generazione ha lasciato cose meravigliose ma anche un peso incredibile. C’è sempre il raffronto: ’si va bene bravo, però De Andrè, però De Gregori’. Erano altri tempi, l’Italia del 1976 è diversissima da quella attuale. Amo molto quel repertorio, ne sono influenzato certo e quando faccio musica vengono fuori, ma non voglio fare il manierista anche perché vivo nel 2016, parlo di me stesso immerso nel presente. Non parlo di un paese che non esiste più».

Dente ha scritto arrangiato, e suonato ogni singolo brano, ma per le registrazioni si è affidato al leader degli Zen Circus, Andrea Appino: «Con Andrea siamo amici da tanto tempo, quando gli ho parlato del disco in cantiere e che avevo abbandonato l’idea di registrarlo perché volevo qualcuno che mi aiutasse in studio, si è subito offerto. E ho scoperto non solo un bravo autore, ma anche un grande tecnico».