Milano. Al palazzo del ghiaccio, luogo anomalo, il 18 maggio 1957 si tiene il primo festival rock italiano. Il gruppo che si impone su tutti con Ciao ti dirò si chiama Rock Boys, capitanato da Adriano Celentano che personalizza le movenze copiate da Jerry Lewis e fa impazzire il pubblico con il suo modo di cantare. Enzo Jannacci al pianoforte e chitarra. Nel gruppo troviamo anche Luigi Tenco (sax) e Giorgio Gaber (chitarra). Nello stesso periodo al Piccolo Teatro impazzano Goldoni e Brecht. Milan e Inter vincono tutto quel che si può vincere con il calcio, la musica, tutta la musica, nasce a Milano. Nel 1960 la piazza a Genova ha respinto il tentativo di un monocolore democristiano sostenuto dai voti decisivi del Movimento Sociale (come avviene in molte giunte locali), e la lira è premiata con l’Oscar come moneta dell’anno. Ma il miracolo economico è agli sgoccioli, sta affacciandosi «la congiuntura» negativa e con lei il primo governo di centrosinistra con Aldo Moro primo ministro.
In questo periodo, precisamente nel 1958, Gianni Bongiovanni detto Bongio e sua moglie Angela aprono un ristorante in una palazzina di via Monte Rosa 84 a Milano: il Gi-Go. Non è che funzioni alla grande, allora il Bongio ha un’idea: proporre anche musica jazz per intrattenere i clienti. Nel 1962 il locale cambia nome diventando Intra’s Derby Club. La cosa si spiega con il jazzista Enrico Intra e la prossimità con l’ippodromo. Aperto sino a notte fonda il Derby (ormai si chiama solo così e i nomi importanti del jazz fanno capolino, compreso John Coltrane) diventa luogo deputato per tutti i tiratardi che non cercano il night club con entraineuse. Fare i nomi dei frequentatori sarebbe approssimativo sono comunque gente dello spettacolo, cantanti, musicisti, attori, presentatori, ma anche rampolli di famiglie industriali, malavitosi di rango, scrittori curiosi, sportivi in libera uscita, infine anche politici. Tra gli aneddoti successivi quello per cui Bettino Craxi godesse del privilegio del «confessionale» che consiste nel conservare in un armadietto la bottiglia non finita, prendendo nota con cura del livello del liquido onde evitare indebiti travasi. Il locale si è di nuovo trasformato, acquisendo ormai la sua identità definitiva, quella di proporre cabaret.
L’aneddoto e la probabilità attribuiscono questa nuova variante a Pupo De Luca, batterista eclettico capace di surreali improvvisazioni verbali con cui intrattiene il pubblico nelle pause musicali. La cosa piace. Quando nel 1964 si inaugura l’autostrada del Sole, anche il Derby ha il suo Gruppo Motore composto da Enzo Jannacci, Felice Andreasi, Cochi e Renato e Lino Toffolo. Sono i primi nomi di una serie infinita di intrattenitori brillanti che sono nati su quel palcoscenico tascabile. Per onestà di cronaca va detto che in quel periodo esisteva un altro locale milanese che proponeva cabaret, il Nebbia club, promosso e gestito dal raffinatissimo e poliedrico Franco Nebbia, senza dimenticare l’antesignano musicale Santa Tecla, dove hanno cominciato tutti, ma proprio tutti i musicisti che hanno segnato la scena italiana di quel periodo.

Jannacci non è ancora medico, lo diventerà poco più tardi, ma è musicista magistrale, capace di infinite collaborazioni. Già detto di Celentano, ma anche Gaber, col nome di I due corsari fanno qualche concerto e qualche disco rock, come jazzista i esibisce con Franco Cerri, oltre a Chet Baker, Jerry Mulligan e Stan Getz. Filippo Crivelli lo scrittura per Milanin Milanon, geniale intuizione di rassegna della canzone milanese con titolo debitore di DeMarchi, così Vincenzo Jannacci si esibisce con Tino Carraro e Milly e propone Andava a Rogoredo, poi va in tournée accompagnando al pianoforte l’amico Sergio Endrigo. E qui bisogna aprire una fugace parentesi perché nel 1964 Gaber conduce Questo e quello in tv (solo un canale Rai piuttosto controllato, ricordiamo che Fo e i suoi furono cacciati da Canzonissima poco prima, giusto per i più giovani) trasmissione di grande successo e il Giorgio con l’Enzo, Toffolo, Otello Profazio e Silverio Pisu propongono nientemeno che l’inno anarchico Addio a Lugano di Pietro Gori ( (www.youtube.com/watch?v=k84G4ODpBsE). Al Derby Jannacci conosce Fo e insieme scrivono decine di canzoni, lo stesso accade con Cochi e Renato. Il primo zoccolo duro della comicità milanese completamente altra rispetto alla tradizione. E qui va citato un altro meneghino doc animatore del Derby, l’avvocato Walter Pinnetti, in arte Walter Valdi, cui viene attribuita la paternità del cabaret made in Milan. Vero o non vero è lui a fornire testi imprevedibili a Gaber (Il tic) che da lì partirà con l’intuizione del teatro-canzone, a Jannacci (Faceva il palo) e ai Gufi (Coccodì coccoda). Famosa la sua battuta «io del giornale leggo sempre i necrologi e i cinema. Se è morto qualcuno che conosco vado al funerale, se no vado al cinema».

Torinese d’origine, astigiano d’elezione, milanese per acclamazione Felice Andreasi è stato un altro pistone del Gruppo motore, al grido di Salve Piemonte» con cui irrompeva e interrompeva con la pronuncia di una «O tanto aperta che ci sarebbe passata tutta la Tav, senza bisogno di scavi» come ha scritto Alberto Crespi. Tra mogli grottescamente bruciate e «il capitano che potava ha capotato, è capitato», Andreasi ha lasciato un segno prepotente con la sua comicità, è anche stato utilizzato dal cinema, ricordiamo un Pane e tulipani per cui ha vinto un Nastro d’argento, senza trascurare a sua grande passione, per cui si dice avesse davvero talento: la pittura.
Cochi e Renato sono perfetta espressione di quello spirito nuovo e imprevedibile che dal Derby si è diffuso ovunque, anche grazie alla trasmissione tv Il poeta e il contadino, conclusa da quel gioiello che è La canzone intelligente. E nel gruppo degli inizi c’è anche Bruno Lauzi, il più eccentrico e stravagante dei cantautori genovesi che approda sul palco del Derby.

In quei pochi metri quadri sono nati un’infinità di nonsense, storie grottesche, surreali, assurde che hanno sfornato una serie di talenti brillanti: Massimo Boldi, Teo Teocoli, Giorgio Porcaro, Diego Abatantuono (che sarebbe stato un raccomandato se non fosse che sua madre Rosa, guardarobiera e sorella della proprietaria Angela, si vergognava al punto di negare qualsiasi parentela con quel giovanotto che parlava terrunciello), i Gatti di vicolo Miracoli, Paolo Villaggio, Giorgio Faletti (che si dice volesse uccidere Paolo Rossi reo di avergli rubato una battuta), Ernst Thole, Enrico Beruschi, Gianfranco Funari, Enzo Iacchetti, Claudio Bisio, Antonio Catania, Isabella, Armando Celso e tanti altri ancora. Che hanno reso indimenticabile il Derby Club da quel lontano 1962 ai primi anni ’80 quando il Bongio se ne va e l’Angela comincia a fare fatica coi conti perché sono nate le tv commerciali e il Silvio (non il pirla evocato da Cochi e Renato in uno sketch sulla Prima guerra mondiale) paga cachet inarrivabili stritolando involontariamente quel piccolo locale che nel 1985 chiude.

Fine di una storia, di un’epoca e di un’intera città travolta in tutti i sensi. Prima come città da bere secondo sloganistica, poi da mangiare secondo tangentopoli, infine da occupare politicamente a destra, secondo Lega e Forza Italia. Per un lungo periodo Milano non è sembrata neppure lontana parente di quell’autentica forza propulsiva che è stata sino a tutti gli anni ’70, che non erano solo cupi anni di piombo, erano anche anni da ridere. Bastava andare al Derby.