Comici itineranti di quart’ordine, isole divenute approdi della disperazione, vagabondi per campare o per destino, gioventù disintegrate dalla follia integralista… Detour, piccolo e tenace festival padovano di cinema, quinta edizione, conferma l’intento di declinare altrimenti la parola «viaggio». Novità 2016 la sezione «Music Around the World», cinque titoli dedicati a musicisti in prima linea contro l’emarginazione, il fanatismo, le discriminazioni; discepoli convinti della musica veicolo di democrazia e materia aggregante. Due i documentari ambientati nell’America dell’apartheid, storie di un uomo e di una donna dalla pelle nera, musicisti così grandi da obbligare i bianchi ad aprire loro le porte dei teatri e delle televisioni. The Case of the Three Sided Dream, di Adam Kahan, racconta Rhasaan Roland Kirk, nato a Colombus, Ohio, nel 1936. Three Sided Dream, il triplice sogno, sintetizza la vita del formidabile polistrumentista in grado di suonare tre sax contemporaneamente, insieme, non di rado, a due flauti, cui soffia dentro dal naso. Respiro circolare, questa la tecnica di cui Kirk era maestro. Spiegata in parole povere consiste nell’accumulare all’interno della cavità della bocca una riserva d’aria, rilasciandola mentre si inspira aria dal naso per tornare a riempire i polmoni. Applicata da Roland creava assoli e passaggi impensabili per altri. Era stato il sogno, diceva lui, a suggerirgli di cambiare il nome Ronald in Roland, e di farlo precedere da quel Rhasaan privo di etimologie. «Rhasaan vedeva la musica», parola di Michael Max Fleming, il suo contrabbassista. Visione ancor più onirica, se si pensa che Kirk diventò cieco a pochi giorni dalla nascita, colpa di una medicazione sbagliata agli occhi. Vent’anni esatti di carriera e ventotto dischi, dal 1956 al 1976. Hard bop, soul jazz, free jazz, swing, ragtime, in un impasto dove il flauto guadagna via via un ruolo di primo piano. La celebrità di Roland cresce, nonostante i veleni dei critici che accusano le sue performance di somigliare a spettacoli da circo. Ma il pubblico lo ama, rimane ipnotizzato dalla sua versione di Down by the Riverside, compra i suoi dischi. La seconda metà dei Sessanta è attraversata dalle manifestazioni anti razziali, l’uomo del sogno cavalca la protesta a modo suo. Durante un concerto annuncia che eseguirà Blacknuss: «Il pianoforte ha cinquantadue tasti bianchi e trentasei tasti neri. In questo brano suoneranno soltanto i tasti neri». Magnifica provocazione, ma a Roland non basta. D’ora in poi, dichiara, il jazz dovrà chiamarsi Musica Classica Nera. E poiché in televisione di questa musica se ne vede poca, fonda il Jazz & People’s Movement, i cui membri si infiltrano negli studi delle emittenti, interrompendo a colpi di fischietto le trasmissioni. La cosa trova ampia eco sui giornali, Rhasaan viene invitato all’Ed Sullivan Show.
Come previsto dallo stesso Sullivan, non esegue il brano orecchiabile concordato, ma una session magistrale e complessa. Il bianco Ed ha consacrato il nero Kirk dal tubo catodico. Giorno del Ringraziamento, 1975. Dorthaan sente un tonfo sordo provenire dalla camera da letto. Spalanca la porta. Sul pavimento il corpo inerte di suo marito, l’uomo del sogno. Emorragia cerebrale. No, non è tutto finito. Qualche mese dopo Roland torna a regalare musica al suo pubblico. Ha un braccio paralizzato, ma con la mano dell’altro riesce a impugnare gli strumenti che ha fatto modificare. Si arrenderà nel 1977. Un altro ictus interrompe per sempre il concerto di una vita breve e densa.
Lunga al punto da mettere sospetto di eternità è invece la vita di Mavis Staples, Chicago, 1939. L’ha ripercorsa la regista inglese Jessica Edwards con il documentario Mavis!, distribuito in Italia dalla Wanted. Oggi rotonda ed esuberante signora, la Mavis ragazzina degli anni Cinquanta cantava gospel in chiesa con la sorella Cleotha e il fratello Pervis, accompagnati dalla chitarra del padre, Roebuck detto Pops. È Pops, convinto dagli applausi fragorosi dei fedeli, a decidere di fondare gli Staples Singers, quartetto che presto se ne va in tournée nel Sud degli States. Il successo porta i primi dischi, che scalano veloci le classifiche. Ricorda Mavis: «Un pomeriggio, Pops tornò molto arrabbiato. Aveva visto un bianco coprire di insulti un nero. Si mise alla chitarra e compose Why? (Am I Treated so Bad)». È il 1967, anno della svolta artistica e politica degli Staples, che con la loro musica appoggiano la causa di Martin Luther King. Continueranno a farlo dopo la morte del leader, realizzando album memorabili quali Be Altitude: Respect Yourself, 1972. Il primo vinile solista di Mavis è del 1969, semplicemente Mavis. Il soul che esce dalla sua gola strepitosa incanta uno dei produttori di Arteha Franklin: «Le dissi ‘Aretha, ti voglio bene e ti ammiro. Però la voce di Staples è inarrivabile’». Dal 1969 in poi, l’ascesa di Mavis non conosce soste. Piovono Grammy, i concerti registrano puntuale sold out, registra il disco tributo a Mahalia Jackson, recita per Prince in Graffiti Bridge e per Martin Scorsese in The Last Waltz, collabora con Jeff Tweedy «Wilco». In un’inquadratura del film, la faccia di Bob Dylan, flirt adolescente di Mavis, si apre (cosa rara) in un sorriso: «Da giovane ascoltai Mavis cantare alla radio. Ricordo che non dormii per una settimana». Detto da Bob, fresco Premio Nobel per la letteratura, c’è da crederlo.