«Non più sudditi, ma paese sovrano». Così Alessandro Di Battista, deputato del Movimento 5S alla commissione Affari esteri, spiega al manifesto il senso del convegno «Se non fosse Nato», che si svolge oggi alle 16, alla Nuova aula dei gruppi parlamentari (Via Campo Marzio, 74 a Roma). Di Battista interverrà insieme ad altri due deputati 5S (il moderatore Manlio Di Stefano e Luca Frusone) e a due ospiti internazionali, Mairead Corrigan, premio Nobel per la pace e André Vltchek, reporter di guerra e autore con Noam Chomsky del volume Terrorismo occidentale. Presenti anche rappresentanti di diversi comitati – Elio Teresi (No Muos), Walter Lorenzi (No Camp Darby), Mariella Cao (Gettiamo le basi, Sardegna) Enrico Marchesini (No dal Molin). Al centro, la proposta di legge di iniziativa popolare su basi e trattati militari, illustrata dal suo redattore, l’avvocato Claudio Giangiacomo.

Perché questo convegno, onorevole Di Battista?
Intanto, la prego, non mi chiami onorevole, sono un deputato. Dopo tanti anni di sudditanza psicologica e militare, l’Italia deve tirare su la testa. Essere alleati degli Stati uniti non significa essere sudditi. La Nato nasce in un momento di profonda divisione fra i blocchi occidentali e sovietici e come organizzazione di mutuo soccorso e difesa. Ma, negli ultimi vent’anni si è trasformata in uno strumento di offesa di popolazioni e governi che, anche se non ne condividono gli obiettivi non possono essere buttati giù dalle bombe Nato. Ci riferiamo agli interventi in Iraq, in Afghanistan, e in un certo senso in Libia, e anche al bombardamento di una grande capitale europea come Belgrado. Oltretutto, queste azioni offensive spesso hanno ottenuto risultati opposti da quelli che si prefiggevano: hanno rafforzato pratiche dittatoriali o il terrorismo internazionale.

E dunque: Fuori l’Italia dalla Nato, come si gridava negli anni ’70?
Ma no, allora io non ero… nato. Studiando lo statuto del Patto atlantico e dei trattati, riconosco che dopo la guerra c’erano situazioni molto complicate, e che quei governi assunsero con decisione il campo degli Usa e non dell’Urss, mentre io caratterialmente sono portato ad essere un “non allineato”. In ogni caso, da strumento di difesa la Nato è diventata un organismo che porta avanti teorie come quella della guerra preventiva, un concetto che trascende gli obiettivi iniziali e va contro quelli della Repubblica italiana. In questo incontro, l’avvocato Giangiacomo illustrerà una proposta di legge di iniziativa popolare per apportare modifiche importanti alle servitù militari. Il testo costituisce la base da presentare in Parlamento, previa consultazione con i comitati territoriali che si occupano di pace e mondialità e che fanno politica nelle piazze, non nelle istituzioni. Gli Stati uniti sono un grande paese da cui possiamo anche apprendere molto, ma non è che tutto quello che arriva da lì dev’essere considerato accettabile per l’interesse generale del nostro paese: non è accettabile il Ttip, il fatto che l’Italia abbia avallato i bombardamenti in Libia per essere gradita agli Usa o che abbia messo a disposizione le proprie basi militari per bombardare Belgrado o che sia ancora sostanzialmente in guerra in Afghanistan, una guerra persa e costata miliardi di euro, vittime civili e soldati italiani, in spregio al diritto internazionale. Non vogliamo più armi nucleari sul nostro territorio quando l’Italia non ha il nucleare e il popolo italiano non le vuole. Siamo ottimi amici degli Usa, ma vogliamo essere amici simmetrici e con una identica voce.

Il Movimento 5S ha organizzato un convegno sui Brics e lei di recente si è recato a Quito, dove ora si svolge il vertice della Celac. Dove preferirebbe andare, a Davos o al summit Celac? E a chi vi rivolgereste se foste al governo?
Io andrei da entrambe le parti. Abbiamo ottimi rapporti con la Federazione russa, a breve avrò un altro incontro per vedere come portare avanti il comune obiettivo della fine delle sanzioni. Le sanzioni alla Russia imposte da Washington hanno messo in crisi l’impresa italiana e quel che ha perso l’Italia in termini di rapporti commerciali se lo sono accaparrati gli Stati uniti, il cui volume d’affari con la Russia è aumentato. Dei Brics ci interessa soprattutto l’orientamento rispetto ad alcune politiche complessive come quella della sovranità bancaria e monetaria. I Brics vogliono costituire un Fondo monetario alternativo. Noi proponiamo una riforma in cui l’impresa privata venga regolata dalla banca pubblica nazionalizzata: prevediamo una banca che si occupi di politiche monetarie e valutarie e una preposta agli investimenti delle imprese. In questo senso, vi sono alcuni esempi in Germania. E certamente guardiamo ai paesi bolivariani dell’America latina, io sono stato di recente a Quito, invitato dal governo ecuadoriano. Nell’idea di raggiungere per quanto possibile la sovranità energetica ed economica dell’Italia, ci rivolgeremmo a loro, per esportare il made in Italy in modo orizzontale. Un grande italiano come Enrico Mattei pensava qualcosa di simile. Ma, in sostanza: l’idea è quella di apprendere e copiare le cose positive di altri paesi e anche riprendere e difendere quelle che avevamo noi in Italia prima che venisse smantellato il sistema pensionistico e sanitario, il welfare buono. Con i bonus del governo Renzi ci stiamo abituando a stare in ginocchio e a ringraziare, mentre dovremmo rimetterci in piedi per rivendicare i nostri diritti: a partire dai diritti economici, dai diritti del lavoro perché, ovviamente quelli civili e politici sono importanti, ma in questi anni siamo caduti nella trappola di separare gli uni dagli altri, scegliendo la “facilità” dei secondi. Ora, bisognerebbe pensare a una grande mobilitazione popolare contro il Ttip. Non sono anti-qualcuno, sono filo-italiano.

Sovranità nazionale o sovranità popolare? Fuori dal Sudamerica, il concetto di sovranità mette a suo agio la destra, non la sinistra.
La proprietà privata è garantita dalla costituzione e noi siamo d’accordo a tutelarla. E siamo per la sovranità monetaria, per il reddito di cittadinanza affinché gli ultimi non restino indietro. Portiamo avanti una politica di aiuto alle piccole e medie imprese che sono alla base della crescita economica del paese. Lottiamo per i diritti economici, che un tempo erano il cuore della sinistra. Non votiamo con i partiti che hanno avuto responsabilità nei governi precedenti, ma su singoli temi, sì: con la destra, abbiamo votato contro il decreto svuota-carceri e la settimana scorsa a Bruxelles con la Lega contro “l’invasione” di 35mila tonnellate di olio tunisino verso la Ue. Mentre i cittadini si dividono per le ideologie, il sistema si divide i nostri soldi.