Cosa sta accadendo alla finanza e all’economia globale? Perché dall’inizio dell’anno le borse crollano a tutte le latitudini? Da più parti si sollevano dubbi sulla possibilità che esploda una nuova crisi, come se quella del 2008 si fosse davvero conclusa. Si parla del rischio della fine di un ciclo espansivo della durata di circa 7 anni (tanto sono durati i periodi di crescita da dopo la guerra), un arco di tempo misurato sui ritmi statunitensi. Ma la sensazione è che tale periodo non vi sia effettivamente stato. Non solo perché la crescita degli Stati Uniti è stata assai modesta e non ha trainato le altre economie, ma perché proprio la crisi esplosa nei paesi anglosassoni ha retroagito in Europa e ora è ricaduta nei paesi emergenti.

In tempi di globalizzazione i timidi segnali di ripresa apparsi qua e là sono sembrati sempre molto instabili, mai solidi. Ora addirittura ci viene detto che forse la ripresa è persino finita. Cioè al primo concreto segnale di inversione delle politiche monetarie della Fed, con l’aumento dei tassi d’interesse, sembrerebbe corrispondere la fine della ripresa. Con quali armi, dunque, negli Usa si potrebbe far fronte ai nuovi problemi all’orizzonte se i tassi sono quasi a zero? Le politiche monetarie espansive effettivamente sembrano incapaci di traghettare fuori dalla crisi. Il Giappone per riprendersi ha recentemente portato in territorio negativo i propri tassi. La Bce paventa un rafforzamento del proprio Qe a marzo, quando a fatica riesce ad acquistare la quantità mensile di titoli che si era ripromessa. Di più, la guerra monetaria in corso sta vanificando gli sforzi delle rispettive banche centrali.

Oggi, più che nel recente passato, sembra mancare una bussola per uscire dalle tenaglie in cui si trova stritolata l’economia globale. L’effetto della Cina sui mercati mondiali non può essere sottovalutato. Essa ormai costituisce stabilmente la seconda economia del pianeta e, in un mondo più multipolare, dove l’equilibrio è maggiore, il rallentamento cinese destabilizza sia i paesi che in questi anni con la crescita asiatica hanno ridotto i danni, sia i restanti paesi emergenti. Crescita dei debiti pubblici e soprattutto debiti privati insostenibili. L’Economist ha messo in evidenza come stia dilagando lo schema Ponzi proprio nell’economia cinese. La più grande economia reale divorata da quella finanziaria, dove il debito principale è quello delle sue imprese.

È vero, dunque, che specialmente nelle Borse l’irrazionalità determina scelte inspiegabili, ma in questo caso c’è un’economia finanziaria che, attraverso crescenti dosi di massa monetaria, ha alimentato bolle anche sul versante dell’economia reale e ora teme per gli effetti che ciò potrebbe scatenare. In questi anni di moneta facile sono cresciute oltremodo grandi compagnie dell’Itc, sono state salvate le banche, tutto pareva filare liscio. In questi mesi però si scopre che la crescita delle compagnie di Silicon Valley è accompagnata da un aumento del numero di licenziamenti, anche nelle start up, il manufatturiero americano, nonostante concorra solo al 9% del Pil, è in recessione, e che una banca come Deutsche Bank annuncia di chiudere il 2015 con una perdita netta di 6.7 miliardi di euro.

A ciò si aggiunga il drastico calo del greggio che, anziché determinare un recupero dei consumi, contribuisce a rendere più incerta la fase in cui stiamo vivendo e ad aumentare il rischio deflazione su scala globale.
In questo quadro, quando emergono a Wall Street dati negativi dall’economia reale (minore crescita dell’occupazione o del Pil, ad esempio) le Borse recuperano un poco perché la stretta monetaria viene rinviata. Va bene che l’economia di mercato si fonda in ultima istanza sulla fiducia, ma perché qualcuno dovrebbe averne ancora?