È davvero finito uno stato di minorità. Una raccolta fondi tra i lettori e sostenitori del manifesto, l’autotassazione dei soci della nuova cooperativa, tre aste, due proposte di acquisto, una richiesta di finanziamento a Banca popolare etica. La storia dell’acquisto della testata potrebbe essere sintetizzata così. Ma dietro ogni tappa c’è la determinazione di un collettivo che ha scelto proprio questo obiettivo dopo la messa in liquidazione della storica cooperativa che per oltre quarant’anni aveva portato in edicola il manifesto.

Non c’è stato però molto di epico in quell’inverno di tre anni fa. Insieme all’amarezza per il fallimento di un’esperienza politica-giornalistica, c’era la ferma decisione di non interrompere le pubblicazioni, di continuare ad andare avanti, mantenendo aperte le porte della redazione.

Al Consiglio di amministrazione il compito di raccogliere i fondi necessari per l’acquisto della testata, del dominio e dell’archivio. La sottoscrizione lanciata agli inizi del 2014 ha visto una straordinaria risposta da parte di lettori e sostenitori.

In pochi mesi i lettori hanno donato oltre 476mila euro, depositati in un conto vincolato presso Banca Etica. Anche i lavoratori della nuova cooperativa hanno fatto la loro parte. Ci siamo tassati. Stipendi al minimo contrattuale, ma ogni lavoratore a tempo pieno ha volontariamente lasciato nelle casse del manifesto 300 euro al mese per un totale di 119.900 euro. Poi la rinuncia alla quattordicesima, nonché il versamento della quota associativa: 1000 euro a testa, un impegno anch’esso «pesante» per chi veniva da anni di stipendio a singhiozzo e cassa integrazione. Infine, la richiesta di finanziamento per l’acquisto della testata a Banca Etica: un mutuo di 150mila euro da restituire in cinque anni.

La cifra finale raccolta tra donazioni dei lettori, autotassazione dei soci e finanziamento di Banca Etica si è fermata a 760.958 euro. Questo sul «fronte interno».

La liquidazione coatta amministrativa è una procedura che contempla norme per il rispetto della concorrenza: il rispetto delle regole ha costituito il leit motiv dei commissari liquidatori. Al Ministero dello sviluppo economico abbiamo più volte motivato la nostra intenzione di acquistare la testata in base a ragioni economiche, politiche ed editoriali.

A partire dalla fatto che affittare il giornale per andare in edicola è stato gravoso. Ogni mese comportava un’uscita di 26mila euro, oltre 300mila all’anno. Una cifra significativa, soprattutto pensando che poteva essere usata per potenziare i prodotti editoriali: il giornale quotidiano, l’inserto del sabato Alias e quello della domenica, il sito internet, la pubblicazione dell’edizione italiana di Le Monde Diplomatique e altre iniziative che abbiamo comunque messo in campo facendo leva sul lavoro di tutti i soci.

Abbiamo incontrato persone sensibili ma ferme. Funzionari, dirigenti, comitati di sorveglianza ci hanno più volte augurato che la vicenda si concludesse positivamente per noi, ribadendo tuttavia che l’iter della liquidazione era chiaro. La testata sarebbe stata messa all’asta. E così è stato.

Di aste ce ne sono state tre. La prima è avvenuta prima della costituzione della nuova cooperativa. Non vi abbiamo partecipato. Abbiamo appreso solo l’esito. Le proposte di altre imprese private non sono state considerati «ricevibili» dai commissari liquidatori.

È così iniziato un periodo lungo, scandito da una nuova valutazione del valore della testata, dalla discussione sulla gestione del dominio del sito (siamo dovuti passare dal manifesto.it al manifesto.info), dalle preoccupazioni sull’archivio quarantennale del manifesto non più accessibile dall’esterno, dalla notizia del vincolo su di esso messo dal ministero dei beni culturali, dalla richiesta di una road map chiara sulla vendita della testata.

Nel 2015 ci sono state altre due aste. Entrambe sono andate deserte.

Abbiamo deciso di investire l’ufficio legale del manifesto e altri due avvocati esperti in procedure fallimentari e proprietà intellettuale per rafforzare il rapporto con i commissari liquidatori. Una decisione presa dopo aver conosciuto la cifra della prima base d’asta, avvenuta il 29 aprile 2015: oltre 1.757.537 euro (più Iva), una cifra che mai avremmo potuto pagare. La legge stabilisce che ogni rinnovo d’asta può contemplare un ribasso del 20 per cento. Ma anche così la cifra della seconda asta, avvenuta il 24 luglio di un anno fa, non era alla nostra portata (1.318.153 più Iva). Questo non negava però la possibilità di avanzare una proposta di acquisto al di fuori della procedura d’asta.

Proposta inviata ma dai commissari ritenuta «non congrua». Dal canto suo, il ministero dello sviluppo economico ribadiva l’autonomia dei commissari liquidatori nello scegliere il modo migliore per raggiungere l’obiettivo della vendita a tutela dei creditori del «vecchio» manifesto, sottolineando tuttavia che la nostra richiesta di acquisto non poteva essere ignorata.

La seconda metà del 2015 e questi primi sei mesi del 2016 hanno visto dispiegarsi la ricerca di un punto di incontro tra le valutazioni economiche dei commissari liquidatori e le nostre.

Alla fine l’accordo è stato raggiunto su una cifra di 900mila euro (più Iva), da pagare in due tranche. La prima di 600 mila euro, la seconda di 300mila euro da pagare nel 2017. Alla cifra va aggiunta l’Iva (198 mila euro), versata al momento dell’accordo.

Alcuni giorni fa con la firma della compravendita presso un notaio si sono chiusi i nostri tre anni più difficili.

A questo abbiamo lavorato come Cda. A questo hanno lavorato i soci dipendenti e i tanti collaboratori del giornale, che hanno scritto per il manifesto alcuni gratuitamente, molti altri pazienti nel ricevere il pagamento delle proprie collaborazioni.

L’acquisto della testata è una bella notizia da comunicare ai lettori, senza i quali non saremmo riusciti nel raggiungere questo obiettivo. Dietro le cifre dei bilanci, delle proposte di acquisto, ci sono uomini e donne con la loro passione, sapere, intelligenza, esperienza politica: è questo il «capitale» del manifesto.

Tante le persone da ringraziare. In primo luogo, i legali che ci hanno accompagnato in questo percorso: gli avvocati Raimondo Becchis, Marina Belloni, Fulvio De Crescenzio, Andrea Fiore. Ce ne sono altri di amici e compagni che ci sono stati accanto per contribuire a mantenere in vita un giornale che ostinatamente rimane dalla parte del torto. Non li citiamo, perché l’elenco è molto lungo.

Da oggi siamo nuovamente padroni di noi stessi. Siamo quindi una «impresa recuperata». Puntiamo sulla autogestione, condivisione delle decisioni e dell’impegno di ciascuno.

Abbiamo una testata, abbiamo l’intelligenza e la capacità di fare informazione politica fuori dal coro dei media mainstream. Siamo un giornale, tuttavia, che opera in una realtà dove la produzione e circolazione dell’informazione assegna alla carta un ruolo ancillare rispetto altri media. Partiamo da questo principio di realtà, lavorando al tempo stesso nella costruzione di una nuova sinistra adeguata a un mondo tutto da cambiare.

E’ questa la sfida dei prossimi mesi e anni. Una sfida che vogliamo giocare al meglio delle nostre possibilità. A partire dall’essere tornati padroni de «il manifesto quotidiano comunista».