Un grosso macigno incombe sul socialismo bolivariano. Ieri, Luis Almagro, segretario generale dell’Organizzazione degli stati americani (Osa) ha chiesto l’attivazione della Carta democratica che, se verrà approvata, prevede la sospensione del Venezuela dall’organismo. Una procedura eccezionale, attivata solo in caso di grave violazione dell’ordine costituzionale.

Una chiara presa di posizione nel campo di forze che si muove per risolvere la crisi politica venezuelana sul piano della diplomazia internazionale. Si evidenziano due schieramenti, consoni ai diversi interessi che si scontrano nell’arena globale. Da una parte, il campo dei grandi poteri e delle forze che, nei diversi blocchi continentali, li sostengono: dal G7 all’Organizzazione degli stati americani (Osa), dall’Europa neoliberista (Spagna in testa), alle oligarchie latinoamericane subalterne all’egemonia Usa, e ben felici che le sanzioni al Venezuela – definito da Obama “una minaccia inusuale e straordinaria per la sicurezza del suo paese – siano state ampliate per impulso delle mafie di Miami.

Dall’altra, l’arco dei paesi socialisti dell’America latina e degli organismi che, come Alba e Unasur, hanno tentato di ridefinire in senso anticapitalista e antimperialista consessi più ampi come la Celac e il Mercosur, la cui natura e funzione è ora fortemente a rischio per il ritorno delle destre in America latina (che contrastano l’avanzata dei Brics e della Cina). Ernesto Samper, presidente della Unasur, ha incontrato Bergoglio in Vaticano per raccogliere la disponibilità del “papa bolivariano”.

Dopo la sospensione di Dilma Rousseff in Brasile, sollecitato dalle organizzazioni popolari con cui ha dialogato in diverse occasioni, il papa ha espresso “preoccupazione” per i golpe parlamentari in corso il cui bersaglio principale è ora il presidente venezuelano Nicolas Maduro. Il campo progressista sostiene il movimento del Vaticano e quello di figure come l’ex presidente spagnolo Zapatero.

In questi giorni, la ministra degli Esteri venezuelana Delcy Rodriguez e altri leader del chavismo, come il deputato Elias Jaua e il sindaco del municipio Libertador, Jorge Rodriguez, si sono riuniti nella Repubbica dominicana con una delegazione della Mesa de la Unidad Democratica (Mud), rappresentata da Carlos Vecchio (del partito Voluntad Popular); Luis Aquiles (Accion Democratica); Alfonso Marquina (Primero Justicia); e Timoteo Zambrano (di Un Nuevo Tiempo). Un’iniziativa appoggiata, secondo i sondaggi, dalla gran maggioranza della popolazione, colpita dalla “guerra economica” o in disaccordo con gli attori che la promuovono.

Unasur ha riscontrato “la volontà delle due parti di trovare un metodo e fissare un’agenda di dialogo nel rispetto della convivenza democratica e nell’interesse di tutti i cittadini venezuelani, unici abilitati a trovare soluzioni per il paese”. Prima dell’incontro, da Caracas, l’ex candidato della Mud Henrique Capriles aveva fatto sapere che la precondizione per il dialogo è la rimozione di Maduro tramite il referendum, la liberazione dei politici detenuti e la soluzione alla “crisi umanitaria” che a suo dire attraversa il Venezuela. La figura del sempiterno candidato (perdente) Capriles non gode però di grandi appoggi nella litigiosa coalizione Mud.

Ieri, il Psuv (presente allo spoglio della prima raccolta di firme per attivare il referendum revocatorio) ha affermato che oltre il 40% delle schede consegnate presentano forti irregolarità e che hanno “firmato” 10.000 morti.

Ma intanto, la componente più importante della “rivoluzione bolivariana”, i movimenti e le organizzazioni del “potere popolare” discutono con gli attori sociali di ambo le parti sui temi che riguardano la prospettiva del paese e diffidano delle “concertazioni burocratiche”. In questi giorni, a Caracas, si sta svolgendo un incontro mondiale dei Giovani lavoratori, in cui organizzazioni giovanili provenienti da oltre 22 paesi “hanno riscontrato una realtà diversa da quella raccontata dai grandi media” e potuto paragonare le conquiste realizzate in questi anni in Venezuela a quelle mancate nei paesi in cui imperversa il neoliberismo. Due manifestazioni – una nel “martedì della donna” deciso di recente a Miraflores, l’altra dei lavoratori del Settore trasporti – hanno sfilato in appoggio al governo e rifiutato la decisione dell’Osa.

E intanto, irrompe sulla scena politica una vicenda che sembra tratta da un libro di Ellroy sulla guerra fra polizie, ambientato però a Caracas. Protagonista, in questo caso, un gruppo di agenti della Polichacao. Sullo sfondo, interessi materiali, orientati alla destabilizzazione politica.

L’uccisione di Felix Antonio Velasquez Felix, ex comandante della Milicia Nacional Bolivariana e figura storica del chavismo, sta portando in luce una trama di omicidi mirati, che getta un riflesso sinistro sulla crisi politica in corso in Venezuela. Velasquez è stato ammazzato sabato nel quartiere di Santa Monica. Due persone in moto gli hanno sparato davanti agli occhi della nipotina, mentre era alla guida della sua automobile.

Decorando post-mortem Velasquez al massimo grado militare, il presidente Nicolas Maduro ha commentato i primi risultati delle indagini, seguiti all’arresto di quattro poliziotti. Lunedì sono finiti in carcere Kedinyers Alberto Salazar e Yaemil Jesús Brito, Santiago José Viera Escobar, che custodiva la pistola dell’ucciso, e l’ufficiale Edgar Tovar, vice-ispettore della polizia di Chacao, “superiore diretto di chi ha fornito la moto” per l’omicidio. Arma e motocicletta incriminate sono state ritrovate durante la perquisizione decisa dal Ministero della Difesa.

“Quel che abbiamo trovato lì supera l’immaginazione: armi, prove, denaro. Dalla dotazione, mancano 20.000 cartucce, e degli 804 funzionari assegnati, solo 40 poliziotti prestano servizio”, ha detto Maduro, scusandosi per anticipare “alcuni elementi dell’inchiesta”: che ha rivelato “vincoli stretti e quotidiani tra il direttore e il vicedirettore della Polichacao con l’ambasciata degli Stati uniti”, e il ruolo di gruppi di ufficiali che vanno ad allenarsi negli Usa con l’avallo dell’ambasciata.

Chacao, importante municipio nell’est di Caracas e bastione dell’opposizione venezuelana, nel 2014 è stato uno dei fulcri delle proteste violente contro il governo (le guarimbas), che hanno provocato 43 morti e oltre 850 feriti. Fra le vittime, una giovane funzionaria del Sebin (il Servizio di intelligence bolivariano), che aveva appena catturato uno dei “guarimberos” più in vista, abbattuta dalla Polichacao.

Maduro ha invitato il sindaco di Chacao, Ramon Muchacho, volto noto dell’opposizione, ha uscire allo scoperto: “Possibile che non sapesse? – ha chiesto – Se non è in grado di controllare questi gruppi legati alla cospirazione e alla morte, in che mani si trova la popolazione di Chacao?”