«Tutti i professori di architettura riconoscono nei propri studenti un’indole in costante e irrequieta ricerca e i membri del gruppo Die Brücke non furono da meno…». Con queste parole l’urbanista Fritz Schumacher, che all’inizio del Novecento fu insegnante alla facoltà di architettura di Dresda di Fritz Bleyl, Ernst Ludwig Kirchner, Erich Eckel e Karl Schmidt-Rottluff, ricordava anni dopo il carattere turbolento dei suoi quattro allievi e la loro radicale avversione allo studio della forma. Quei quattro giovani, che nel 1905 formarono a Dresda il gruppo Die Brücke, si erano infatti avvicinati alla pittura da autodidatti, senza seguire un preciso percorso formativo, sancendo in tal modo la propria determinazione a mettere in crisi, attraverso le proprie sperimentazioni linguistiche, il tradizionale sistema dell’arte.

La loro avanguardia artistica rispecchiava d’altronde, attraverso una dirompente forza espressiva, le contraddizioni del secolo nascente e la radicale opposizione a ogni precostituita forma culturale dell’Ottocento. Già poste in evidenza dalle profonde inquietudini simboliste, le tensioni che si manifestarono agli esordi del Novecento ebbero un effetto scatenante per la nascita di un linguaggio che incarnava tutte le potenzialità disarmoniche di un ribollente momento storico, pronto a infiammarsi da lì a poco con lo scoppio della Grande Guerra. Se il progressivo disfacimento dei tradizionali modelli di elitaria rappresentanza politica sancì le prime aperture al suffragio universale, l’affermarsi delle organizzazioni di massa determinò anche la comparsa di innovative forme di ricerca del consenso. L’epoca che si usa definire Belle Epoque condivise inoltre un comune sentimento internazionalista, sancito nel 1896 dalla prima edizione delle Olimpiadi di Atene, ma ben presto avversato dall’acuirsi delle tensioni nazionalistiche e dai sintomi di quella crisi che innescò il primo conflitto mondiale.

Le convinzioni culturali del secolo passato e in particolare la predominante attitudine scientifica positivista furono infine spazzate via dagli strumenti filosofici dell’irrazionalismo e dalle nuove scoperte scientifiche, mettendo in crisi credenze e certezze ritenute sino ad allora indiscutibili. Gli inediti percorsi tracciati negli insondabili territori della mente umana da Sigmund Freud con la pubblicazione nel 1900 de L’interpretazione dei sogni e i rivoluzionari assiomi della teoria della relatività di Albert Einstein si accompagnarono dunque al ribaltamento dei tradizionali sistemi di percezione della realtà: il pianeta – grazie alle scoperte geografiche, alle politiche di colonizzazione e allo sviluppo dei nuovi mezzi di trasporto – appariva sempre più piccolo, ma non privo di oscure zone d’ombra.

Nel 1900 era intanto morto a Weimar Friedrich Nietzsche, il filosofo che più di altri aveva contribuito con il suo pensiero a mettere in discussione le basi della civiltà ottocentesca. E proprio da un passo di Così parlò Zarathustra: «Ciò che è grande nell’uomo è il fatto che egli è un ponte e non un fine», prese nome il gruppo Die Brücke (Il Ponte), a cui il Palazzo Ducale di Genova dedica la mostra Espressionismo tedesco Da Kirchner a Nolde 1905-1913. L’esposizione, visitabile sino al 12 luglio, presenta, attraverso un’ampia e puntuale selezione di opere provenienti dal Brücke Museum di Berlin, la produzione pittorica dei principali esponenti del gruppo: non solo dei quattro fondatori, ma anche di Max Pechstein e di Emil Nolde, che a esso aderirono nel 1906. Ed è appunto in un passo della lettera inviata da Schmidt-Rottluff a Nolde, per invitarlo a prendere parte al movimento, che troviamo espresso lo spirito estetico che animava quei giovani artisti: «Una delle ambizioni del gruppo è attirare a sé tutti i soggetti rivoluzionari e in fermento – a questo si riferisce il nome ‘il ponte’».

Come appare evidente dal confronto tra le opere dei sei artisti esposte in mostra, gli espressionisti non professarono dunque, in nome di una radicale libertà creativa, alcuna specificità stilistica. Ciò gli permise di attirare altri esponenti, anche al di fuori della Germania. A fronte dei dinieghi di Edvard Munch e di Henri Matisse, bisogna infatti annoverare le adesioni dello svizzero Cuno Amiet, del filandese Akeseli Gallén-Kallela e dell’olandese Kees van Dongen, membro del gruppo francese dei fauves, il cui esordio espositivo avvenne a Parigi nel 1905 in occasione del Salon d’Automne.

Quest’apertura verso altre esperienze artistiche che, indipendentemente dalle singole specificità formali, condividevano il loro rifiuto dei tradizionali modelli culturali, fu improntato come per altri movimenti di avanguardia da una consacrazione del mito della gioventù. Non a caso l’appello pronunciato da Kirchner nel 1906 – «Con la fede nell’evoluzione e in una nuova generazione di creatori e di fruitori, chiamiamo a raccolta l’intera gioventù e, in quanto giovani portatori di futuro, intendiamo conquistare la libertà d’azione e di vita contro i vecchi poteri costituiti» – sembra riecheggiare anche nel Manifesto di fondazione del Futurismo del 1909: «I più anziani, fra noi, hanno trent’anni: ci rimane dunque almeno un decennio per compier l’opera nostra. Quando avremo quarant’anni, altri uomini più giovani e più validi di noi ci gettino pure nel cestino, come manoscritti inutili».

Ispirati dalle esperienze di Van Gogh, Gauguin, Ensor e Munch, con i lavori dei quali gli espressionisti ebbero l’opportunità di confrontarsi direttamente grazie al fervore espositivo di Dresda, gli espressionisti della Brücke si focalizzarono dunque sull’individualità del soggetto e sul suo interiore approccio alla realtà. In questo clima di libertà stilistica fu tuttavia comune a tutti gli esponenti del gruppo la passione per la tecnica xilografica, che permetteva loro di esprimere in maniera incisiva e diretta la propria ricerca di stilizzazione e di rigore formale.
Una svolta determinante fu rappresentata nel 1911 dal loro trasferimento a Berlino. L’incontro con la febbrile vita della metropoli, immortalata nel 1927 dal film di Walter Ruttmann Berlino. Sinfonia di una grande città, esercitò un’influenza significativa sulle opere dei giovani di Dresda, specialmente in quelle di Kirchner. L’unità del movimento si stava tuttavia disfacendo e fu proprio Kirchner a determinarne lo scioglimento con la sua Cronaca del gruppo di artisti Die Brücke che, scritta per rinsaldare il gruppo, fu invece fortemente osteggiata dagli altri membri, accelerando così la definitiva rottura dei loro rapporti.

La lezione degli espressionisti – in particolare la spontaneità antiaccademica dei ritratti, l’aggressività cromatica dei paesaggi e una ricerca di autenticità nel rapporto con la natura, mediata dal confronto con le opere dei popoli «primitivi» – svolse comunque una profonda influenza sul contesto artistico internazionale. E anche nelle ricerche italiane della prima metà del Novecento è possibile rilevare palesi tangenze estetiche con l’espressionismo: in primo luogo tra i futuristi, che nel 1910, nel Manifesto tecnico della pittura futurista, si erano dichiarati «primitivi di una nuova sensibilità». Questa adesione linguistica, in particolare nei violenti contrasti tra colori primari, si può infatti rilevare in alcune tra le più celebri opere di Umberto Boccioni (come Idolo moderno o La risata del 1911) e così pure nella fase futurista di Gino Severini e di Mario Sironi, il quale ultimo anche nelle successive opere novecentiste adottò tale modello formale per una sua personale ripresa del primitivismo quattrocentesco. Se filoni di ricerca contigui alle istanze espressioniste appaiono infine presenti in tutte le esperienze artistiche che si opposero in Italia al rigore classicista del Novecento (si pensi ad esempio al primitivismo di un Tullio Garbari o alla fronda estetica del gruppo di «Corrente»), le più evidenti tangenze stilistiche con l’espressionismo si manifestarono – come documentato dalla mostra L’urlo dell’immagine. La grafica dell’Espressionismo italiano, allestita lo scorso anno alla Palazzina delle Arti della Spezia e alla GAMC «Lorenzo Viani» di Viareggio – nel campo dell’incisione e della xilografia e, in particolare, nelle grafiche di Lorenzo Viani, Emilio Mantelli, Adolfo Balduini e Arturo Martini.