«C’era una volta un malato che voleva morire senza soffrire, tutti parlarono di lui, alla fine trovò un anestesista e ci riuscì, il Vaticano gli negò i funerali, e tutti parlarono ancora più di lui (oltre che del Vaticano), tanto che, a dieci anni dalla sua morte, sarà ricordato alla Camera dei Deputati il 20 dicembre, con la Presidente Boldrini, e sarà proiettato un film su di lui». Questa potrebbe in sintesi sembrare la favola di Piergiorgio Welby. Ma l’apparenza, inganna. La realtà è più radicale.

Quella notte del 20 dicembre 2006 con la famiglia di Piergiorgio e l’anestesista Mario Riccio c’era anche la sua famiglia politica: Marco Pannella, Mirella Parachini, Rita Bernardini e io. E c’erano due medici venuti dal Belgio: Eric Picard e Marc Reisinger.

Portavano con loro una dose di farmaco letale.

Il piano di Welby era il seguente. Se Mario Riccio non fosse riuscito a «trovare la vena» per praticare la sedazione in assoluta legalità, Piergiorgio l’avrebbe congedato, Riccio sarebbe salito sulla sua macchina e se ne sarebbe tornato a Cremona. A quel punto, avrebbero chiesto l’intervento di Eric e Marc, con i quali Piergiorgio aveva attivato da due mesi il protocollo belga per l’eutanasia. Per ottenere il medesimo risultato – la morte senza sofferenza di Welby – in questo caso però la pena prevista sarebbe stata fino a 15 anni di carcere, per il reato di omicidio del consenziente. Eric e Marc avevano in tasca il biglietto del primo volo della mattina per Bruxelles, nella speranza che una rogatoria internazionale nei loro confronti, per un’azione che è legale in Belgio ed è illegale in Italia, sarebbe magari stata respinta.

La straordinaria storia che commosse il mondo dovrebbe dunque iniziare così: c’era una volta un radicale, Co-Presidente dell’associazione Luca Coscioni, che chiese ai propri compagni di aiutarlo ad ottenere l’eutanasia. Insieme, si erano tanto battuti “per la vita”, per i diritti delle persone con disabilità e la ricerca scientifica per dare speranza ai malati.

Insieme decisero di non lasciare nulla di intentato per seguire e onorare la Costituzione: interpellarono il Presidente della Repubblica, che subito ricambiò con un’attenzione tanto forte e decisa da scuotere il Paese (un po’ meno il Parlamento); convocarono medici, scienziati e tra i massimi giuristi, che confermarono l’applicabilità diretta di quel comma della Costituzione che recita «nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge»; attivarono – con Giuseppe Rossodivita – i tribunali.

Parallelamente, non persero di vista il punto di partenza di tutto, e di arrivo, costi quel che costi: il diritto umano fondamentale, ancora non riconosciuto, di Piergiorgio Welby, come di qualsiasi essere umano ovunque sia nato, di poter interrompere senza soffrire quella che ormai era divenuta una tortura.

Mario Riccio “trovò la vena”. Mina trovò una canzone di Bob Dylan per accompagnare il loro amore. Piergiorgio trovò ciò che aveva chiesto.

Dopo la conferenza stampa, con Mario trovammo gli agenti della Digos. Al funerale, la piazza del Tuscolano trovò chiuse le porte della Basilica Don Bosco, ma anche la presenza di due suorine a rappresentare la speranza di una Chiesa che può cambiare, in un’Italia che deve cambiare.

Dieci anni dopo, il coraggio di Mario Riccio non gli ha fatto fare molta carriera all’Ospedale di Cremona, ma ne hanno fatta le libertà di tutti, con i casi Nuvoli, Englaro, Velati, Fanelli e tanti altri.

Poche settimane fa, Walter Piludu, malato di Sla che ci ha fatto, anche lui, l’onore di fidarsi dell’Associazione Luca Coscioni, ha ottenuto dal tribunale di Cagliari ciò che il Tribunale di Roma negò a Welby: l’ordine alla Asl di sospendere le terapie e morire senza soffrire. Una settimana fa, la Commissione affari sociali della Camera ha licenziato un testo di legge che include la legalizzazione del testamento biologico. Per la legalizzazione dell’eutanasia, invece, la nostra proposta di iniziativa popolare è ancora ferma, ma sarà formalmente valida anche per la prossima legislatura.

Nel frattempo, con Mina e Gustavo Fraticelli aiutiamo i malati terminali che vogliono andare in Svizzera per il suicidio assistito.

La storia di Piergiorgio continua a creare nuove libertà. Ma è una storia, non una favola: continua solo se saranno in tanti altri a voler lottare per questa libertà fino alla fine.