Lunedì 11 gennaio, nella prima vera seduta della camera dei deputati dopo lunghe ferie invernali, la legge di revisione costituzionale sarà approvata in votazione finale e chiuderà un’altra tappa del suo percorso iniziato nell’aprile del 2014. Una prima lettura che è passata per due «navette» tra senato e camera segnate dalle polemiche sulla conduzione dei lavori – «canguri» per saltare la mole degli emendamenti, sedute «fiume» per stroncare l’ostruzionismo – ma da poche modifiche sostanziali. Nell’ultimo passaggio al senato il testo è stato addirittura blindato (facendo prevalere il regolamento parlamentare sull’articolo 138 della Costituzione); in quest’ultimo alla camera non si è toccata una virgola. Il passaggio di lunedì prossimo non prevede sorprese e si esaurirà in un pomeriggio, dichiarazioni di voto comprese. Due giorni dopo scadrà la «pausa di riflessione» di tre mesi prevista dalla procedura di revisione costituzionale, il senato ha infatti detto il suo ultimo sì il 13 ottobre dell’anno scorso. Da allora in teoria ogni momento potrebbe essere quello buono per chiudere anche la seconda lettura a palazzo Madama: un voto secco senza emendamenti. In pratica Renzi cercherà di posizionare quel passaggio nel momento più conveniente per il Pd (al riparo per esempio dalle polemiche sul disegno di legge sulle unioni civili, atteso a palazzo Madama a fine gennaio) visto che la Costituzione impone il raggiungimento della maggioranza assoluta. La soglia è a portata di mano per l’alleanza allargata ai verdiniani, ma non si può dare mai per scontata nell’aula del senato. L’ultimo sì della camera a metà aprile chiuderà – dopo due anni esatti – il percorso parlamentare della riforma costituzionale e aprirà quello referendario.

Il referendum costituzionale – che Renzi ha cominciato a trasformare in un plebiscito sul governo quando non direttamente su se stesso – è regolato da una legge del 1970 che prevede tempi di sei-sette mesi dall’ultima votazione delle camere. Si terrà al più presto nella seconda metà di ottobre. Si terrà sicuramente, perché il governo non ha la maggioranza dei due terzi che potrebbe evitarlo, né alla camera né al senato. L’unica incertezza riguarda chi chiederà il referendum (non è automatico), se lo faranno cioè i senatori e i deputati renziani in omaggio alla strategia di palazzo Chigi che cerca l’imprimatur popolare o i parlamentari di minoranza (non si parla della minoranza interna al Pd che, lo volesse davvero, potrebbe ancora far crollare tutto il castello sfilandosi nell’ultimo voto al senato) magari per conto del Comitato del No che si è già costituito in associazione (presidenti effettivo e onorario i due costituzionalisti Alessandro Pace e Gustavo Zagrebelsky) ma che dovrebbe altrimenti affrontare la fatica della raccolta di 500mila firme. Proprio lunedì 11, nello stesso pomeriggio in cui la camera approverà il disegno di legge Renzi-Boschi, i giuristi del comitato illustreranno a Montecitorio nella sala della Regina «le gravi violazioni apportate dalla riforma ai principi supremi della Costituzione» (prevista la presenza anche di Carlassare, Azzariti, Besostri, Ferrara, Rodotà e Villone).

Ma il 2016 si apre anche all’insegna della battaglia contro l’altra riforma renziana che integra e completa il progetto di revisione costituzionale, la nuova legge elettorale. Dei tre fronti aperti contro l’Italicum – due referendum abrogativi per i quali andranno raccolte le firme, il coinvolgimento della corte Costituzionale da parte di una minoranza parlamentare previsto proprio dalle norme transitorie della riforma e i ricorsi nei tribunali civili sul modello di quanto sperimentato contro il Porcellum – è l’ultimo il più avanzato. Il 21 gennaio ci sarà la prima udienza utile davanti al giudice di Milano in meito a un ricorso presentato dagli avvocati Bozzi e Tani. E se non arriverà allora la decisione di coinvolgere i giudici costituzionali (a causa della particolare procedura proposta) potrebbe arrivare a febbraio, quando sono previste tre udienza del «processo» all’Italicum nei tribunali di Genova, Potenza e Trieste, o a marzo (Bari e Torino) o ad aprile (L’Aquila e Catanzaro).