Lui è «pronto a dare una mano». Amante deluso di Matteo Renzi, Diego Della Valle vede il governo come una grande promessa non mantenuta. E non è la prima volta che gli accade una cosa del genere: nel 1994 si espresse pubblicamente per Berlusconi, nel 2013 per Monti. E lasciamo perdere com’è andata a finire.

Scendere in politica adesso, dice al Corriere della Sera, può essere una necessità: il coraggio è una virtù e il Paese ha bisogno di uomini virtuosi.

Mentre ogni volta che qualcuno pronuncia la parola «società civile» una tessera elettorale muore, Della Valle pensa che se ce l’ha fatta Berlusconi vent’anni fa, in fondo, la scalata al Palazzo non deve essere poi questa impresa impossibile. La storia, in realtà, vede l’ascesa di Silvio come eccezione e il fallimento come regola. Due nomi su tutti: Luca Cordero di Montezemolo e Corrado Passera. Partiti tra gli squilli di tromba, adesso sono entrambi disoccupati di lusso e i loro progetti li espongono a platee sempre meno numerose, nel disinteresse generale.

Un’umiliazione del genere, per Della Valle, sarebbe insopportabile.

Ragazzo nato nelle campagne fermane, piccolo imprenditore in perenne espansione, il suo portafoglio nutre quasi 4mila dipendenti e, secondo quanto stimato dalla rivista Forbes, il nostro è il ventesimo uomo più ricco d’Italia, con un patrimonio da un miliardo e mezzo di euro e un posto nei Cda di Rcs, Ferrari, Le Monde, Assicurazioni Generali, tra gli altri. Volto piuttosto noto nei talk show, Della Valle non ha mai risparmiato battute sprezzanti: le polemiche contro la famiglia Agnelli in generale e Sergio Marchionne in particolare sono dei piccoli classici, poi bisogna ricordare gli affondi su Gasparri («mantenuto da noi italiani per decenni con stipendi principeschi») e su Sandro Bondi («io parlo con i capi, non con i ragazzi di bottega»). Applausi a scena aperta dal pubblico e apprezzamento generale, anche a sinistra, per l’imprenditore onesto anche lui stufo di una classe politica arrogante e incompetente.

Non è uno che le manda a dire, don Diego, eppure non sopporta di essere messo in discussione. Nel 2009, i lavoratori dello stabilimento Tod’s di Comunanza misero in piedi una blanda protesta a causa della sparizione di un bonus da 116 euro dalle buste paga. Un giorno Della Valle andò in fabbrica e cominciò a sbraitare: «Non ho bisogno di voi, posso portare via l’azienda». Un lavoratore, Guerriero Rossi, osò allora scrivergli una lettera aperta chiedendo «il rispetto per i lavoratori e i sindacati, e la difesa della contrattazione come diritto e non come concessione». Risposta: «Le espressioni da lei utilizzate, che comportano una grave lesione al prestigio del datore di lavoro e pregiudicano irreparabilmente il vincolo fiduciario fra lavoratore e imprenditore, non consentono la prosecuzione del rapporto, neppure in via provvisoria». Licenziato in tronco, Rossi fu reintegrato con sentenza del tribunale del lavoro.

La questione però non ha macchiato il curriculum da cavaliere senza macchia e senza paura. Le gazzette locali, a mesi alterni, decantano le sue magnifiche imprese, come quando regalò una scuola elementare al suo paese natale, Casette d’Ete. Alla cerimonia d’inaugurazione c’erano tutti: Gianni Letta, Montezemolo, il vecchio amico Clemente Mastella, Enrico Mentana, Maurizio Belpietro, gli immancabili Merloni, il governatore Gian Mario Spacca. Ancora a Della Valle si deve l’apertura di uno svincolo autostradale a Porto Sant’Elpidio, costruito in tempi da record insieme alla famosa «terza corsia» della A14, che da lì parte e arriva fino a Bologna. Oltre al cuore d’oro, don Diego ha anche ambizioni da mecenate: la sua sponsorizzazione da 25 milioni di euro per il restauro del Colosseo ha fatto il giro del mondo. In cambio avrà “solo” l’uso esclusivo dell’immagine del monumento più famoso del mondo per 15 anni, «eventualmente prorogabili».

Le pubbliche virtù del self made man più famoso delle Marche. Lui ci tiene ad essere amato, ma, curiosamente, il suo temperamento non ha mai incontrato il favore dei tifosi calcistici. Un periodo pareva dovesse comprare l’Ascoli, lui però scelse la Fiorentina. Quando le due squadre si ritrovarono contro, dagli spalti volarono insulti irripetibili. Pure in Toscana, però, il rapporto con la tifoseria non sempre è stato un idillio. Qualche anno fa, alla fine di un campionato non troppo brillante della Viola, la curva Fiesole tirò fuori uno striscione di rara cattiveria: «S’è esiliato Dante, poeta divino, figuriamoci te, illustre ciabattino».