«Una situazione come quella dell’estate dello scorso anno non si ripeterà: mai più profughi che arrivano in modo incontrollato». In questa frase c’è il cambio di rotta di Angela Merkel, il giorno dopo la pesante sconfitta elettorale delle amministrative a Berlino. Per la prima volta, ieri la cancelliera tedesca ha apertamente ammesso l’impreparazione della Germania ad affrontare l’emergenza, assumendosi la responsabilità di avere capito troppo in ritardo che l’afflusso di persone in fuga da guerra e fame non era affare solo dei Paesi dell’Europa del sud, ma anche del suo. Parole, quelle della leader Cdu, che sono innanzitutto un messaggio ai fratelli/nemici della Csu, i democristiani bavaresi guidati dal governatore Horst Seehofer, che da tempo chiedono una correzione della linea ritenuta troppo «buonista».

Non è detto che la svolta sia considerata sufficiente: la cancelliera ha infatti confermato alcune posizioni indigeste per i bavaresi. In sintesi: non verrà stabilito un tetto massimo di richiedenti asilo né verrà data priorità ai migranti di religione cristiana. Due punti sui quali Merkel non intende andare incontro alle richieste della Csu, nella speranza che il mea culpa di ieri basti a far cessare la guerriglia interna al campo conservatore, ormai in preda al panico. Due settimane dopo il voto in Meclenburgo, quello di domenica è stato un altro fortissimo campanello d’allarme in vista delle politiche del prossimo anno: con il 17,6% il partito della cancelliera ha ottenuto il peggiore risultato della sua storia a Berlino, quasi sei punti in meno delle elezioni precedenti.

Un voto su cui hanno certamente pesato anche ragioni locali, ma che nessuno si nasconde essere stato soprattutto «politico». Lo dimostrano sia l’aumento significativo dell’affluenza (dal 60,2 al 66,9%), sia il risultato più atteso alla vigilia, quello di Alternative für Deutschland (Afd): un 14,2% che in una città tradizionalmente progressista come la capitale tedesca soddisfa ampiamente la destra nazionalista. Che può vantare di essere addirittura la lista più votata (23,6%) nella municipalità di Marzahn, grigio quartiere della periferia orientale, e terza forza (16,1%) nella roccaforte occidentale della Cdu, Reinickendorf. Dati che mostrano come l’Afd raccolga consensi sia nei ceti popolari, sia in quelli borghesi, fra le persone che sono ai margini della società e fra i democristiani ultra-conservatori che si sentono traditi da una Merkel «troppo di sinistra». Grande soddisfazione anche nella parte diametralmente opposta dello spettro politico: la Linke ha ottenuto un ottimo 15,6%, che significa una crescita di quasi quattro punti rispetto al 2011, e il sorpasso sui Verdi che sono calati di due punti e mezzo, raccogliendo il 15,4%.

Con ogni probabilità, queste saranno le due forze che formeranno il prossimo governo della città, che qua si chiama Senato, insieme ai socialdemocratici della Spd, «vincitori» con appena il 21,6%. Nella storia della Repubblica federale non era mai accaduto che un partito si classificasse primo in una competizione elettorale con una percentuale così bassa. Il partito del sindaco uscente Michael Müller ha perso addirittura più consensi della malconcia Cdu: quasi sette punti in meno, che in una situazione normale avrebbero significato una débâcle con dimissioni immediate dei vertici locali.

Ma la Germania politica non vive tempi normali, e il catastrofico risultato socialdemocratico viene ritenuto soddisfacente dagli eredi di Willy Brandt, perché l’importante era mantenere il proprio uomo alla guida della città. Domani dovrebbero cominciare le consultazioni fra le diverse forze. L’esito appare già scritto, perché numericamente la grosse Koalition che amministrava Berlino non ha più la maggioranza e perché i Verdi si sono espressi a favore dell’alleanza progressista con Spd e Linke. La matematica renderebbe possibile anche una coalizione Spd-Cdu-Verdi, ma gli ecologisti della capitale hanno esplicitamente escluso di voler governare con i democristiani. Come invece fanno in altri Länder come Assia e Baden-Württemberg. Motivo per il quale l’ala moderata dei Grünen tiene a specificare che la futura amministrazione «rosso-rosso-verde» non rappresenta un modello per la dimensione nazionale: ogni Land fa storia a sé, questo è il messaggio.

Di diverso avviso è la sinistra interna, che a Berlino città conta di più, così come la Linke, che insiste sul segnale politico del voto di domenica. Considerazioni alle quali i socialdemocratici reagiscono con prudenza. Le distanze restano ma nella Spd ormai non c’è più nessuno che escluda in linea di principio un accordo per il governo del Paese anche con la Linke. Non è molto, ma rispetto al recente passato è comunque un enorme passo avanti.