Segretaria Guglielmi, quali sono i dossier più importanti che governo parlamento devono affrontare entro la fine della legislatura?
Parto dagli Stati generali dell’esecuzione penale voluti dal ministro Orlando: non vanno disperse le proposte ma soprattutto l’ispirazione culturale per un nuovo progetto di esecuzione penale e l’attuazione della sua finalità rieducativa, con il carcere come extrema ratio. Più in generale, servono riforme organiche per restituire razionalità ed effettività al sistema-giustizia. Per il processo penale, uno snodo è la riforma delle impugnazioni che, senza pregiudizio per le garanzie della difesa, limiti l’abuso degli strumenti processuali in vista della prescrizione. Sull’ordinamento giudiziario, mi auguro che non sia un precedente la scelta di modificarlo a colpi di decreti legge. Dopo l’allarmante vicenda della riforma dell’età di pensionamento, opportunamente ridotta ma poi prorogata da ultimo solo per i vertici della Cassazione, con misure peggiorative per i giovani magistrati, è ancora più urgente tornare al concorso subito dopo la laurea, per una selezione effettiva per merito e non per censo.

Al vostro congresso avete posto l’accento anche sulla riforma del diritto d’asilo: perché vi preoccupa?
È giusto l’obiettivo di una maggiore celerità del giudizio ma devono restare tutte le garanzie per la piena tutela dei diritti. Con la riduzione dei poteri di accertamento del giudice e l’esclusione dell’esame diretto del richiedente, l’abolizione dell’appello e la competenza riservata a pochi tribunali, si limita l’accesso alla giustizia e si rischia di trasformare il giudizio in mera verifica della regolarità della decisione presa dalla commissione territoriale.

Il referendum costituzionale ha visto Md impegnata per il No. Domani (oggi, ndr) la Consulta si esprimerà sui quesiti promossi dalla Cgil: vi schiererete?
Nell’esito del referendum costituzionale abbiamo colto la difesa di un progetto di democrazia nel quale il Paese ancora si riconosce e dal quale dobbiamo ripartire. È un progetto fondato sulla tutela del lavoro e dei diritti dei lavoratori, ambito nel quale Md ha sempre praticato il suo impegno per l’attuazione delle scelte di valore della Costituzione. Md offrirà il suo contributo al dibattito.

Il congresso è stato una sorta di rinascita di Md, ma anche nella magistratura è cresciuta la sfiducia verso le realtà organizzate tradizionali.
È vero, la crisi delle forme tradizionali della politica e della rappresentanza investe appieno l’associazionismo giudiziario e ci sono segni evidenti di regressione corporativa della magistratura. Md ha contribuito alla crescita culturale e politica dell’associazionismo giudiziario, portando al suo interno il senso di un impegno di tutta la magistratura per l’attuazione dei valori costituzionali. Proprio in questo quadro, al congresso abbiamo riaffermato l’attualità del progetto originario di Md. Da un lato, contrasto alla deriva burocratica, al carrierismo, al ritorno di una visione gerarchica dell’ordine giudiziario. Dall’altro, apertura alle istanze della società come antidoto all’autoreferenzialità e a una risposta corporativa al disagio per le difficili condizioni di lavoro dei magistrati.

Torna quindi d’attualità il ruolo all’esterno dei tribunali di quello che Ingrao definì lo ’strano animale’ Md.
Sì, il rilancio di Md guarda proprio al contesto esterno, profondamente mutato rispetto al panorama di ‘naturali’ interlocutori esistente all’origine della sua storia, 53 anni fa. Cominciamo dal ragionare sulla nuova mappa delle diseguaglianze, per comprendere un fenomeno nel quale si riassumono gli effetti delle profonde trasformazioni di questi anni. Vogliamo ricercare il confronto nei luoghi dove i nuovi bisogni possono essere analizzati e compresi, costruendo sinergie con tutti gli attori della società civile, del mondo del lavoro e di quello giuridico che trovano le ragioni del proprio impegno nell’inveramento del principio di eguaglianza, verso l’obiettivo di un’Europa dei diritti e della solidarietà.

La promozione dei diritti civili, la repressione di movimenti sociali (vedi Tav), la lotta alla corruzione, la tutela della salute pubblica (vedi Ilva), perfino la modifica della legge elettorale: ai magistrati si chiede di svolgere un ruolo in senso lato politico, salvo poi criticarne il protagonismo. Quali insidie vede?
Il rapporto fra politica e magistratura risente del ruolo assunto dai giudici nel dare diretta attuazione alla Costituzione, rafforzato dal dialogo con le Corti sovranazionali, e nell’essere garanti della legalità anche nei confronti dei poteri forti. La carenza di forme di controllo e di risposte alternative a quella giudiziaria ha accreditato l’idea di una subalternità della politica alle iniziative della magistratura e la tensione generata dal ruolo forte della giurisdizione porta ad accusare i giudici di invasioni di campo. È un contesto in cui vedo due opposte tendenze, egualmente rischiose. La prima è la pretesa di un ritorno al modello di «giudice bocca della legge», e quindi la limitazione degli ambiti di intervento per la giurisdizione, la riduzione degli spazi interpretativi, e le scelte di politica criminale per attrarla verso l’ottica della prevenzione e della repressione, depotenziandone il ruolo di terzietà e di garanzia. La seconda è l’affermazione di tentazioni giustizialiste e, fra giudici e pm, di una concezione ‘sacrale’ della propria funzione: un rischio, questo, che si contrasta con la responsabilità sociale e culturale del magistrato per i provvedimenti adottati, l’attenzione alle garanzie, la consapevolezza dei limiti della propria funzione. In sostanza con l’accettazione del controllo sociale e del dovere di rendere conto della propria azione alla collettività, necessari contrappesi all’indipendenza della magistratura.