«Ho compiuto la mia scelta: presento le mie dimissioni. Sapendo che queste possono per legge essere ritirate entro venti giorni. Non è un’astuzia la mia: è la ricerca di una verifica seria, se è ancora possibile ricostruire le condizioni politiche» necessarie «per compiere il percorso di cambiamento della città cominciato» che «oggi mi appaiono assottigliate se non assenti».

La linea «Resistere Resistere Resistere» adottata fino a metà pomeriggio da Ignazio Marino, dopo una giornata convulsa e segnata dalla spaesamento totale della maggioranza capitolina – senza più bussola nel bailamme mediatico che insegue gli scontrini del sindaco – scricchiola a sera sotto il pressing ormai deciso al Nazareno. «Va bene marziano, ma non è mica avulso dalla realtà», commenta chi gli è più vicino.

Le parole che il fido assessore alla Legalità Alfonso Sabella e l’ormai ex vicesindaco renziano Marco Causi, inviati speciali per conto del presidente del Pd Matteo Orfini, usano per convincerlo a rassegnare le dimissioni e a non subire «l’onta» della mozione di sfiducia, sortiscono infine l’effetto voluto.

La decisione è sofferta e meditata, spiega in una nota Marino, ma è stata presa «avendo come unica stella polare l’interesse della Capitale d’Italia, della mia città».

«Nessuno pensi o dica che lo faccio come segnale di debolezza o addirittura di ammissione di colpa per questa squallida e manipolata polemica sulle spese di rappresentanza». Chi lo fa «è in mala fede», aggiunge il sindaco che ai cittadini, «tutti, chi mi ha votato come chi no», chiede di comprendere «che è dal lavoro che ho impostato che passa il futuro della città». «Tutto il mio impegno ha suscitato una furiosa reazione – ricorda Marino – Sin dall’inizio c’è stato un lavorio rumoroso nel tentativo di sovvertire il voto democratico dei romani» che «ha avuto spettatori poco attenti anche tra chi questa esperienza avrebbe dovuto sostenerla».

La giunta era già andata in pezzi qualche ora prima, con le dimissioni rassegnate formalmente dagli assessori Stefano Esposito (Trasporti) e Luigina Di Liegro (Turismo), dopo la riunione del sindaco con tutti i membri del governo capitolino, molti consiglieri dem e alcuni presidenti di municipio, e dopo qualche ora di incertezza.

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Mentre fuori, sotto le finestre di Palazzo Senatorio, nel corso della giornata la piazza si era andata svuotando dei cittadini pro Marino arrivati in mattinata e si era riempita via via delle bandiere di Casapound, di Forza Italia, del Ncd e del M5S. Qualche centinaio di persone, non di più, ma il frastuono di urla e slogan martella incessante e segna la lugubre colonna sonora del giorno più lungo del sindaco che ha perso per via mediatica anche l’ultima virtù riconosciutagli, l’onestà.

Una scelta, quella dell’ex marziano normalizzatosi, apparsa inevitabile, ma che toglie le castagne dal fuoco alla maggioranza capitolina.

Per tutto il giorno, infatti, Pd e Sel hanno cercato la quadra sulle mozioni di sfiducia da presentare (una in comune oppure due separate e su quali punti politici), l’unica exit strategy trovata per superare l’impasse di un sindaco che sembrava cocciutamente intenzionato a non lasciare.

Il caso delle spese in cene sostenute con la carta di credito del Campidoglio e giustificate malamente con gli scontrini pubblicati on line sono in fondo poca cosa rispetto ai problemi, alle ambizioni politiche e agli interessi in gioco in questa partita.

Il premier/segretario lo sa e anche questa volta pubblicamente non dice una parola, ma da Palazzo Chigi al Nazareno l’alfabeto morse ha trasmesso: «Basta così, non è più difendibile».

A sera un’asettica nota del partito esprime «apprezzamento per il gesto di responsabilità» e «assicura il massimo impegno per continuare ad affrontare i problemi di Roma e per garantire la piena riuscita dell’imminente Giubileo». E si può star certi che questa volta il Pd non mente, Alfano permettendo.

«Il sistema corruttivo è stato scoperchiato, i tentacoli oggi sono tagliati, le grandi riforme avviate, i bilanci non sono più in rosso, la città ha ripreso ad attrarre investimenti e a investire. I risultati, quindi, cominciano a vedersi», ripete il sindaco dimissionario.

Il punto è un altro, però: il Giubileo. Quello che, sottolinea la nota ufficiale del Pd, è «occasione di rilancio della città, cui devono essere dedicate tutta l’attenzione e le energie possibili, mettendosi a disposizione del futuro commissario di Roma».

È per la gestione dell’Anno santo francescano che la frizione tra l’amministrazione capitolina e il governo bipartisan è arrivata al suo culmine (con i fondi statali sbloccati solo a fine agosto), e si è pure evidenziata meglio quella con Papa Bergoglio.

Anche Sel attacca Marino sulle opere giubilari che «non sono ancora state avviate» (solo tre cantieri sarebbero stati aperti su 28 previsti), anche per via di alcuni vizi di forma nei bandi di gara che avrebbero rallentato l’aggiudicazione degli appalti. «Siamo disposti ancora all’appoggio esterno del sindaco – afferma il capogruppo vendoliano in Campidoglio, Gianluca Peciola, che nei prossimi giorni vedrà Orfini, riunione prevista per ieri e poi rinviata – ma deve spiegarci perché i cantieri sono fermi, dimostrare che sulle carte di credito non ha fatto alcun illecito e che non ha mentito. E riconoscere il fallimento del commissariamento politico che ha accettato dal Pd a luglio facendo fuori la sinistra dal governo della città».