E bravo Diodato – il giovane cantautore tarantino esploso lo scorso anno con E forse sono pazzo, album fotografia della nuova canzone italiana sospesa fra melodia e tentazioni rock d’oltremanica – che prova con molto coraggio a misurarsi con il passato. Eh, sì perché come secondo capitolo di questa sua giocoforza breve carriera, va a pescare nel decennio splendente – e quanto mai rimpianto – della musica pop italiana dei ’60, canzoni che facevano letteralmente il giro nel mondo nella versione originale riprese poi da decine di altri interpreti. Premessa, A ritrovar bellezza (Rca/Sony music) è la conclusione di un progetto nato dopo la sua partecipazione allo show di Fabio Fazio Che tempo che fa dove interpretava i classici sullo sfondo di incantevoli località del belpaese. Dieci apparizioni per altrettanti brani che in una versione estesa e riarrangiata troviamo nel disco. Produce e sovraintende Daniele Tortora ad eccezione di Arrivederci, affidata a Roy Paci con l’aiuto della stessa band che lo ha affiancato nel primo album, più una nutrita pattuglia di ospiti.

Attenzione però, non è l’ennesimo capitolo della dilagante cover mania con cui le major stanno cercando di rincorrere qualche copia in più senza fasciarsi troppo la testa… «No – spiega Diodato – non ho tenuto in considerazione gli altri dischi ’a tema’. L’ho fatto perché in questo momento della mia vita, riprendere quei brani mi ha dato qualcosa. Vi ho ritrovato un’identità precisa della musica italiana che oggi si è persa. Affascinava poi, sia me che i musicisti, l’atmosfera che in quel periodo regnava negli studi della Rca: grandissimi professionisti che incidevano praticamente ’dal vivo’ con orchestre imponenti sfornando brani di qualità a velocità sorprendente». L’Italia del boom si specchia con il contemporaneo di crisi e il raffronto è impietoso. Anche il mondo delle sette note deve fare fronte a etichette che chiudono, migliaia di posti di lavoro persi con gli artisti costretti a inventarsi nuovi modi per sbarcare il lunario: «Oggi tutto si è fatto terribilmente difficile. Sarà che la cultura è percepita dalla politica come l’ultima ruota del carro, qualcosa di superfluo». Non un album di cover, si è detto: vero perché Diodato ha voluto distinguersi dai suoi colleghi «decostruendo» i classici con spirito critico, così che Ritornerai di Lauzi riceve una «scossa» di chitarre elettriche e un brivido aggiuntivo con gli archi degli Gnu quartet. Per non parlare della voce profonda di Manuel Agnelli pronta a rivelare inquietanti risvolti nel duetto sulla La voce del silenzio.

«È uscito tutto in modo molto naturale, autori e interpreti li ho scelti semplicemente lasciandomi guidare dall’emozione che provavo e dalla voglia di cantarli immediatamente. E non è detto che si debba sempre seguire l’intento originale, anzi. Io nel disco precedente ho ripreso Amore che vieni amore che vai di De Andrè allontanandomi dalla sua versione, la sentivo urlata con molta veemenza. Ma non penso di aver ’tradito’ l’autore…».

Di quegli anni sorprende ancora la capacità di comporre con leggerezza e senso della misura, senza cadere nella superficialità. Non arrossire di Giorgio Gaber ne è esempio calzante..: «Leggerezza che non era affatto superficialità, anzi c’era una poetica fortissima fatta di frasi semplici scritte proprio per esprimere un sentimento che potesse arrivare a tanti. Però quando provi a eseguire queste melodie ti accorgi di quanto fossero complesse. Avevano un’identità che oggi – ed è una critica che faccio anche a me stesso – abbiamo perso, forse rincorrendo mode e costumi che non ci appartengono. Anni fa un amico svedese mi parlava incantato di quelle canzoni e di un direttore d’orchestra come Ennio Morricone che era dietro a molti di quei successi».

A ritrovar bellezza prova a andare in tour: «Al Medimex sono riuscito a eseguirlo con tutti i musicisti, ospiti inclusi. Ma non è sempre possibile, specialmente in tempi in cui per ragioni economiche è più facile che un artista si esibisca da solo o con un trio. Ma io provo lo stesso a muovermi con un giro di dieci persone, certo si guadagna di meno e bisogna fare delle rinunce. Quello che vorrei alla fine è che queste canzoni facessero da colonna sonora per tanti luoghi bellissimi del paese che non sono tutelati e valorizzati come meriterebbero».